lunedì 5 febbraio 2018

IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO NEGLI ANNI DELLA CLANDESTINITA'


La cultura politica del Partito comunista italiano fino al 1945 è un insieme di pratiche derivanti da valori condivisi, che si esercitano all’interno di una comunità alla quale si appartiene per scelta e non per nascita. Questa comunità si fonda su un orizzonte politico al quale tutti gli appartenenti aderiscono sulla base di una comune lettura della realtà e della storia e su una stessa visione del mondo e del futuro. Una comunità che ha un «noi» e un «loro», nella quale o si sta dentro o si sta fuori.
«Loro» sono i cosiddetti nemici di classe, coloro che sono irrecuperabili alla causa del socialismo, ma «loro» sono anche quelli che, per le più diverse ragioni, non sono ancora divenuti comunisti e verso i quali, quindi, è necessario dispiegare una strategia egemonica. Nel «noi», invece, sono ricompresi tutti i militanti, tutti i compagni, non importa dove si trovino, in quale Stato vivano, a quale partito comunista siano iscritti. Si tratta di una comunità politica transnazionale che si alimenta di scambi reciproci ma anche di polemiche, di confronti e di aperture, di risentimenti e di chiusure. E di stili di vita comuni.
La cultura politica del PCI è cultura materiale perché, nel caso del PCI, la materialità degli orizzonti culturali ha inciso sulla storia politica, sociale e culturale dell’Italia del secondo dopoguerra, più degli aspetti ideali e ideologici.
L’autorappresentazione pubblica dei militanti e dei dirigenti comunisti è un’autorappresentazione che nel secondo dopoguerra si concentra nella maggior parte dei casi sulla «grande politica» più che sugli aspetti minuti della militanza, sui grandi momenti collettivi più che sulle storie individuali.
Il comunismo è stato,dopo la seconda guerra mondiale,un’ideologia profondamente pervasiva, che ha plasmato la vita dei propri sostenitori. E questa pervasività era perfino sancita ufficialmente nello Statuto del PCI che affermava l’obbligo, da parte di ogni iscritto, non solo di migliorarsi culturalmente, nel lavoro e via dicendo, ma di avere «una vita privata onesta, esemplare».
Le prescrizioni dello statuto servono a fare del militante comunista un uomo migliore degli altri, il prototipo di quell’«uomo nuovo» che il comunismo vuole costruire prima di edificare il mondo nuovo: come ha scritto Eric Hobsbawm «il pubblico e il privato, diventare una persona migliore e costruire un mondo migliore, erano considerati indivisibili» (Hobsbawm 2002, p. 148).
Parlare della cultura materiale dei comunisti italiani è,tuttavia,più facile che parlare della cultura materiale dei militanti di partiti al potere. È una cultura più facilmente identificabile poiché è slegata dai lacci dell’istituzionalizzazione statuale. La burocratizzazione è infatti uno dei prodotti negativi del potere e, come è stato scritto, «la pratica militante cessa là dove inizia il potere» perché «il militante può stare in un partito, ma il partito fattosi Stato non è il suo luogo» (Milanesi 2010, pp. 81-82). La dimensione del potere organizzato sembra essere proprio il fattore che contribuisce a svuotare la militanza di significato, come appare drammaticamente nel film " Buio a mezzanotte "di Arthur Koestler. Così come un fattore storico che influisce in modo determinante sulla cultura politica di un partito comunista è la clandestinità.
Ed è appunto l’essere o non essere un partito clandestino che stabilisce una linea di demarcazione importante fra i partiti costretti a lavorare nell’illegalità e quelli «legali». Questa distinzione si riferisce sia a una questione cronologica che a una geografica. Lungo tutto il periodo che va dall’avvento dei fascismi in Europa fino alla loro caduta, la clandestinità è l’orizzonte di militanza condiviso da tutti i partiti comunisti europei. Successivamente, se la maggior parte di essi ritorneranno ad operare alla luce del sole, altri...(si pensi ai PC spagnolo e portoghese) rimarranno invece ancora, pur con significative differenze, costretti nell’ombra della lotta clandestina.
La clandestinità è un orizzonte estremamente pervasivo. Il militante clandestino vive in una dimensione catacombale, chiuso in un mondo strettissimo e lavora per ottenere piccoli risultati correndo rischi esorbitanti. E, dunque, le caratteristiche del suo stile di vita sono più influenzate dalla dimensione carbonara e cospirativa che non dall’essere parte del mondo della militanza comunista. Tra l'altro in questa fase sono clandestini i comunisti ma anche i socialisti, i cattolici di sinistra, i democratici radicali e, almeno in alcune fasi, i loro stili di vita e di militanza non furono così diversi come invece lo saranno dopo il 1945.

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