giovedì 28 gennaio 2016

NON ESISTE LA FAMIGLIA "NATURALE"!

MA NO....NON ESISTE LA FAMIGLIA "NATURALE"! La famiglia composta da un uomo, una donna e i loro figli è solo una delle forme, molteplici, che ha assunto e che può assumere l’istituzione matrimoniale. Non c’è quindi nulla di naturale in essa, tale da farne la forma di famiglia per eccellenza, e tanto meno «la famiglia voluta da Dio», rispetto a altre forme di unione. Di conseguenza, la legge sul riconoscimento delle unioni civili, che estende alcuni diritti (diritti previdenziali e lavorativi, il diritto alla reversibilità della pensione del partner o all’eredità, la possibilità di essere considerati parenti quando i loro compagni o compagne finiscono in ospedale e infine, forse, l’adozione da parte del partner del figlio biologico di uno dei due, già prevista dal 1983 per le coppie eterosessuali unite in matrimonio e dal 2007 per le coppie di fatto eterosessuali) non è un attentato alle fondamenta della società e della convivenza civile, perché il valore della famiglia naturale, quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, non è un valore assoluto. In ciò che segue intendo sostenere la mia convinzione, ben consapevole della difficoltà di smontare qualcosa che è parte del nostro senso comune, di quella comprensione quotidiana di come funziona il mondo, estremamente resistente a ogni scetticismo. Parlare di «famiglia», quale che sia la sua forma, significa entrare nel campo della parentela, ambito di enorme importanza per le società umane, e per questo molto studiato, in modi anche molto approfonditi e articolati, dagli antropologi. L’argomento principe delle posizioni a favore della «famiglia naturale» è dunque l’evidenza di cui sopra, l’evidenza del rapporto di procreazione. Per molto tempo gli stessi antropologi sono rimasti intrappolati in questa evidenza, difficile da scalfire, e hanno sostenuto che la «vera parentela» è quella che viene stabilita a partire dalla nascita, nonostante gli studi empirici attestassero che in molti gruppi umani in molti luoghi si attribuisse lo status di parenti a persone con le quali non sussisteva alcuna relazione biologica. Tuttavia, alla lunga è poi emerso in modo molto netto che qualsiasi relazione di parentela – persino quella, udite, udite, genitoriale - può essere costruita anche dopo la nascita, attraverso azioni o procedure simboliche appropriate culturalmente. Come ha scritto l’antropologo Marshall Sahlins in un libro molto bello (La parentela: cos’è e cosa non è, Eleuthera 2014), «[…] contro questo sedimentato senso comune – l’evidenza della procreazione – dobbiamo sforzarci di capire che le categorie di parentela non sono rappresentazioni o metafore delle relazioni di nascita; piuttosto, è la nascita a essere una metafora delle nostre relazioni di parentela». In altre parole: nessuno mette in discussione che per procreare ci vuole l’unione di un uomo e di una donna. E’ un fatto biologico. Ma è altrettanto evidente che la famiglia, l’insieme di persone che partecipano intimamente gli uni delle vite degli altri, è una costruzione sociale culturalmente significativa che include, certo, le determinazioni biologiche, ma si estende molto al di là della biologia, fino al punto in cui le relazioni «extra nascita”, non biologiche, diventano preponderanti rispetto a quelle di procreazione. In altre parole ancora, la parentela è un sistema simbolico che avvolge, nasconde in molti casi, e riveste di senso il dato biologico, conferendogli l’apparenza di «fatto naturale». Per questo sono così tenaci le nozioni del senso comune relative ai parenti, alla famiglia, al «sangue» e così via. La letteratura antropologica dimostra ampiamente che si tratta di varianti locali – non universali – di formazioni culturali e norme sociali che risolvono il grande problema di assegnare un individuo al momento della nascita a un gruppo, che si prenderà cura di lei/lui, gli/le conferirà diritti e doveri, lo sosterrà in caso di necessità, ecc. ecc. Soprattutto, sarà il gruppo che gli/le fornirà sostegno al momento del matrimonio, cioè quando il nostro individuo (maschio o femmina) si unirà a un altro individuo secondo le procedure e le norme sociali appropriate. In tutte le società umane, infatti, il matrimonio è un’istituzione sociale finalizzata a disciplinare secondo il modello culturale la riproduzione e l’assegnazione dei figli a un gruppo piuttosto che a un altro. Che si tratti di una costruzione sociale, tra l’altro, lo dimostra la grande flessibilità che caratterizza l’unione matrimoniale, e che consente per quanto possibile di porre rimedio a eventuali «scherzi» della natura garantendo la finalità riproduttiva: fra gli Igbo della Nigeria, in caso di sterilità del marito, una donna è autorizzata a avere rapporti sessuali con un altro uomo, e i figli procreati saranno legalmente figli del primo (il padre sociale) e non del secondo (il padre biologico). Fra i Nuer del Sudan, come ha documentato il grande antropologo inglese Evans-Pritchard (I Nuer. Un’anarchia ordinata, 1948), è documentato il matrimonio con il fantasma, per cui, qualora un uomo muoia senza figli oppure prima di sposarsi, un fratello o un cugino può sposarsi con una donna in nome del defunto in modo che i figli siano legalmente figli del defunto. Sempre fra i Nuer, esiste il matrimonio fra donne (privo di connotazioni omosessuali): una donna sterile può contrarre matrimonio con un’altra donna, sceglierle un amante e i figli nati da questa unione saranno figli socialmente riconosciuti della donna-marito, membri del gruppo di quest’ultima. Ci sono anche i fratelli della madre chiamati «madri maschi» (Radcliffe-Brown) e le donne agiate Lovedu che cedono il loro bestiame per acquistare «mogli» e diventare così «padri» dei loro figli. Ancora, i Karembola del Madagascar considerano fratelli e sorelle la stessa cosa, e un uomo può così rivendicare la maternità di un bambino. Come gli uomini possono essere madri, le donne possono essere padri. Niente è impossibile nella parentela della procreazione. Le innumerevoli concezioni culturali della procreazione – tutti «sensi comuni» locali – infatti esprimono idee altamente differenziate del ruolo di genitore e di genitrice. La letteratura attesta per esempio casi di misconoscimento parziale: nelle società patrilineari, in cui cioè ai fini della discendenza conta solo la linea maschile, spesso il ruolo della madre è assai svalutato o non riconosciuto. All’opposto, nelle società matrilineari, in cui cioè ai fini della discendenza conta solo la linea femminile, si rileva l’indifferenza verso il contributo maschile al concepimento (è celebre l’ignoranza del ruolo del padre nelle isole Trobiand attestata dal grande etnografo polacco Bronislaw Malinowski). Ma sono documentati anche casi limite dell’esclusione di entrambi. Sono infatti molteplici le persone che si possono incarnare in un neonato, inclusi gli antenati del clan o del villaggio, mentre può capitare che la madre naturale venga esclusa. Nonostante sia parte integrante del senso comune che i legami di sangue sono naturali, la verità è che sono costruiti per convenzione. La casistica sarebbe infinita. Riporto solo alcuni esempi tratti dalla letteratura etnografica. In Amazzonia, una nascita può anche non coinvolgere alcun tipo di parentela, se quello che la donna porta in grembo è il figlio di un animale (spirito / animale). I Kamea della Nuova Guinea ignorano le connessioni fra i nati e chi li ha concepiti. Fra gli Inuit della Groenlandia, quando un bambino è chiamato con il nome del nonno materno, inizia a chiamare figlia la madre che lo ha partorito, marito di mia figlia il padre e moglie la nonna. Insomma, spessissimo la parentela per procreazione si rivela sostanzialmente uguale alla parentela creata socialmente. Un bell’esempio di questa uguaglianza è riportato da Sahlins nel libro citato sopra: per gli abitanti della Nebilyer Valley (in Nuova Guinea) la parentela è creata dalla trasmissione di kopong, «grasso», materia essenziale di tutti gli organismi viventi. Il kopong, trasmesso dallo sperma del padre e dal latte della madre, crea una relazione sostanziale fra il bambino e i suoi genitori biologici. Bene. Però, dato che il kopong si trova anche nelle patate e nel maiale, lo stesso risultato si può ottenere tramite la condivisione delle vivande. In questo modo, aggiungo un inciso interessante, un figlio o un nipote di stranieri immigrati può essere completamente integrato come parente. C’è di più: le relazioni «biologiche» costruite simbolicamente a volte funzionano meglio di quelle «effettivamente» tali; per esempio, due fratelli germani possono essere più affiatati, vicini e solidali di due fratelli per nascita. E’ sufficiente per affermare che la parentela non discende dalla nascita in quanto tale. Al di là dei legami biologici, reali o presunti, la parentela, questa partecipazione delle persone l’una all’esistenza dell’altra, si costruisce attraverso una grande varietà di modi, significativi. In moltissimi casi, la condivisione del cibo ha la potenzialità di creare parentela. Sono tanti i fattori che contribuiscono alla creazione sociale e culturale di relazioni di parentela fuori dalla nascita. Oltre alla convivialità, contano moltissimo il vivere insieme, la condivisione di esperienze e di ricordi (la parentela è basata su un alto grado di vita fianco a fianco, giorno per giorno, e sullo scambio reciproco di atti di affetto), il lavorare insieme, l’adozione, l’amicizia, le sofferenze comuni (secondo gli Ilongot delle Filippine coloro che condividono una storia di migrazione, condividono un corpo), ecc. Le modalità sono pressoché infinite (legate a particolari logiche culturali di relazione), secondo il principio che se una relazione di parentela non esiste, la si crea. Sempre tra gli Inuit, ultimo esempio, i nati nello stesso giorno sono parenti e così alcuni individui, qualora i loro genitori in passato abbiano avuto una relazione sessuale. Quindi, i legami di sangue hanno un valore solo se sono riconosciuti culturalmente, ma in questo diventano uguali in tutto e per tutto ai legami di vita, creati culturalmente. Per quanto mi riguarda, è sufficiente per ribadire che una cosa come la «famiglia naturale» non esiste… A meno che non si vogliano rispolverare le vecchie teorie razziste e evoluzioniste secondo le quali quelle degli altri sono concezioni errate, superstizioni, bizzarrie, stranezze concettuali, ingenuità, scemenze mentre la verità sta dalla nostra parte. Il resto lo lascio alle riflessioni, in un senso o nell’altro, di ciascuno.

mercoledì 27 gennaio 2016

MI STA A CUORE: LA MEMORIA NON SI COMMEMORA......SI ESERCITA !!!

MI STA A CUORE: LA MEMORIA NON SI COMMEMORA......SI ESERCITA !!!: MA COSA CI PROMETTIAMO DI RICORDARE ? LA MEMORIA NON SI COMMEMORA....SI ESERCITA !!! Ma esattamente dove sono le istruzioni per festeggiare...

LA MEMORIA NON SI COMMEMORA......SI ESERCITA !!!

MA COSA CI PROMETTIAMO DI RICORDARE ? LA MEMORIA NON SI COMMEMORA....SI ESERCITA !!! Ma esattamente dove sono le istruzioni per festeggiare una “giornata della memoria” come quella di questo 27 gennaio dell’anno 2016 facendo finta di niente? Ma davvero oggi risulta potabile e possibile citare Primo Levi fingendo di non sapere quanto sia tradito nelle chiacchiere da bar, tra i commenti che galleggiano nel web, nei giudizi immorali passati come scherno? Esattamente oggi cosa potranno insegnare ai loro figli quelli che non si sono ancora puliti della bava sputata contro qualcuno? Davvero riusciranno a dir loro che un tempo è successo che un popolo sia stato giudicato per la razza, la provenienza e la cultura e sia stato dichiarato colpevole di esserci, di esistere, di occupare spazio geografico, economico e sociale? Ma davvero oggi è possibile spiegare ai giovani che, coperti dall’indifferenza vigliacca della maggioranza, pochi sono riusciti ad ambire alla cancellazione di un intero popolo? Esattamente, oggi, per questa giornata della memoria che è diventata un traino per la cinematografia e letteratura del settore, chi ci promettiamo di ricordare? Gli ebrei ammazzati perché ebrei,i rom perchè rom,gli omosessuali perchè omosessuali, i siriani perseguitati perché infedeli, gli annegati annegati perché non europei, i palestinesi perché palestinesi? Chi tra questi? Ma che differenze troverete per evitare ai più giovani l’occasione di un’associazione di idee tra una deportazione su ferro e una deportazione via mare? Chi sono gli aguzzini? Chi sono gli indifferenti? Chi sono i politicamente vigliacchi? Ma...no...la memoria non si commemora !!! La memoria si esercita!!! E ci vuole il fisico per esercitarla: una mente allenata a nuotare controcorrente, un cuore duro abbastanza per essere buono, braccia forti, schiena diritta e un olfatto pronto ad annusare. “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria” scriveva Primo Levi. Leggendolo davvero potremmo sentirci tutti assolti? La demolizione di un uomo è un cantiere sempre aperto che ripropone gli stessi errori in tutte le epoche in cui ritorna: la ghettizzazione di un popolo su basi razziali; l’insensibilità.... se non il fastidio per il lamento di qualcuno, raccontandolo come lagna inutile perché senza soluzioni a disposizione; la ferocia condonata in nome dell’autopreservazione; una calcolata sciatteria nel dare le informazioni; il convincimento generale di attraversare un periodo critico che richieda soluzioni estreme e che blandisca gli egoismi; LA COSTRUZIONE QUOTIDIANA DI UN FASTIDIO, UNA SGRADEVOLEZZA DA NON CELARE VERSO QUALCUNO TUTTI I GIORNI, TUTTO IL GIORNO, SEMPRE LUI; un’iperbolica apprensione per le disgrazie della nostra razza per sembrarci e sembrare comunque abili alla solidarietà; l’accettazione di una scala di priorità basata non sui bisogni ma su chi ne ha bisogno; una generalizzata convergenza nel ritenere prioritari i più vicini, primo germe di un familismo spacciato per federalismo oppure lo sdoganamento della formula “erano altri tempi” per tragedie che sono umane, mica temporali. OGNUNO ANCHE OGGI E' EBREO DI QUALCUNO !Oggi il camino, addirittura, sono riusciti a farlo sotto il mare. Buona giornata della memoria. E buona memoria applicata....se ci riesce!

lunedì 25 gennaio 2016

MI STA A CUORE: Ah! QUELL'OMOFOBIA........CHE CI PORTIAMO ADDOSSO ...

MI STA A CUORE: Ah! QUELL'OMOFOBIA........CHE CI PORTIAMO ADDOSSO ...: Ah! Quell'omofobia....che ci portiamo addosso ! Ero un adolescente agli inizi degli anni'60 e allora spesso l'omosessualità er...

QUELLO CHE CI SALVERA' !

Ero un adolescente agli inizi degli anni'60 e allora spesso l'omosessualità era associata alla pedofilia ! Quell’idea di perversione, che allora si respirava,condizionava il mio immaginario, mi era rimasta nella pancia e anche se cominciavo a sentire e vedere che esistevano omosessuali nel mondo e non sembravano degli sporcaccioni, quell’imprinting era come un filtro tra me e loro. Come ho fatto a liberarmi da questo immaginario? Ho avuto la fortuna di essere una persona curiosa. Ho cominciato presto a girare l’Italia da giovanissimo, ho conosciuto moltissima gente, ho avuto la fortuna anche di conoscere omosessuali dichiarati. Ma se io non avessi avuto l’occasione dell’esperienza della conoscenza, quel filtro non si sarebbe dissolto. Spesso persone che stimo per la loro cultura e che sono realmente convinte della necessità di lottare per i diritti civili di gay, lesbiche e trans, ammettono che PERO’.... se ne vedono due per strada che si tengono per mano......si irrigidiscono, provano turbamento ! Perché non si tratta di essere colti o meno, qui si tratta di cosa ci si porta addosso, nell’ombelico. Fobia significa paura oggettivamente ingiustificata. Qualcosa che mi turba senza un reale motivo. L’omofobia non è solo quella violenta degli insulti, delle sprangate in un vicolo. Che sia ingiustificabile l’omofobia violenta siamo sempre (quasi) tutti d’accordo. C’è una forma di omofobia che tutti e tutte ci portiamo addosso, chi più che meno, e che ha a che fare con la cultura che ci ha nutriti di stereotipi e paure, in un paese omofobo e sessuofobico. Io la chiamo omofobia lieve. L’omofobia lieve è quel disagio che sentiamo addosso.... anche se, a parole, diciamo di rispettare tutti, quando percepiamo nel nostro intimo quel «però». Che cos’è quel «però»? A volte diciamo che è pudore, ma non è vero. È timore ! È il non voler socchiudere una porta che preferiamo lasciare chiusa, quando basterebbe poco per scoprire che dietro non c’è niente di speciale. Tutto il castello di impercettibili paure, che abbiamo costruito intorno all’omosessualità, si sgretola di fronte alla sua banalità. Perché è tutto come nelle coppie eterosessuali. A volte splendido, a volte no, a volte l’amore dura una notte, a volte un mese, a volte una vita intera. L’unica via per sconfiggere il TIMORE, che sentiamo dentro, è CONOSCERE . In ufficio, in fabbrica, in negozio, passiamo ore, sono la nostra seconda casa. Con i colleghi parliamo di noi, ascoltiamo i loro racconti. Ma se un collega è gay o una collega è lesbica, allora no, siamo discreti, prudenti. Se poi è trans le difficoltà si amplificano, ma capita raramente di avere colleghe e colleghi trans perché hanno enormi difficoltà ad essere assunte/i in un panificio come in un ufficio (è ancora forte lo stigma trans-prostituta, perché è soltanto di trans che si prostituiscono che ci parla la televisione, gli altri, le altre, «non esistono»). Ma quanti di noi hanno mai provato ad entrare veramente nella loro quotidianità? Forse dovremmo tentare di entrare nelle vite degli altri per scoprire, poi, che non sono tanto diverse dalle nostre vite, le nostre stesse vite. Oggi continuiamo a pensare che il modello fondante di amore tra due persone sia quello eterosessuale perché quello che dà naturalmente la vita. Lo spermatozoo feconda l’ovulo, questo non si discute. Ma è come se i sentimenti, gli affetti e il desiderio dovessero dare la precedenza alla procreazione naturale, sempre e comunque. Oggi la scienza ha fatto passi avanti su questo, e la scienza ci piace quando ci salva la vita, ci cura le malattie. Chi si ostina a ritenere innaturale la famiglia omogenitoriale invoca la Natura in quanto madre illustrissima e intoccabile a cui bisogna lasciar fare. Ma, guarda caso, sono proprio gli stessi che, invece, non ne vogliono sapere di lasciar fare alla Natura quando si accaniscono a tenere in vita per 18 anni una ragazza grazie a un respiratore che di naturale non ha niente ! La Natura diventa buona o cattiva, a piacimento. e noi abbocchiamo, perché le certezze ci piacciono e ci rassicurano! Abbiamo poco tempo per approfondire, siamo indaffarati e stanchi, spesso non abbiamo il tempo di interrogarci, di riflettere con calma, ci fermiamo agli slogan, e abbocchiamo ! Anche sbandierare al mondo di avere amici gay tradisce una forma di omofobia lieve; se sono davvero sereno, non ho bisogno di specificare alcuna etichetta ! Oggi ci sono dei cattolici integralisti – che non rappresentano tutto il mondo cattolico ma che finiscono però sui media e quindi diventano «il mondo cattolico» – che mettono in guardia contro quella che chiamano la teoria del gender, teoria che non esiste, ma che, secondo loro, verrebbe propagandata nelle scuole,cercando di uniformare maschile e femminile in un qualcosa di ibrido con risvolti perversi. Quello che, invece, si fa nelle scuole, si chiama Educazione alle differenze o Educazione di genere. Non vuol dire educare al neutro, dire che tra maschi e femmine non ci sono differenze o istigare ad una sessualità spregiudicata. Significa educare al rispetto delle differenze, che è altra cosa; significa aiutare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, a capire che l’aggressività non è cosa da maschi e la pazienza cosa da femmine, significa insegnare loro che non ci sono soltanto il bianco e il nero, che c’è fluidità nelle nostre identità, significa aiutare chi si scopre una identità sessuale differente dal modello eterosessuale dominante a non sentirsi penalizzato, sbagliato, difettato, condannato all’infelicità, soprattutto in quel momento della crescita, l’adolescenza, che vede le sofferenze amplificarsi tanto da essere insopportabili, a volte così insopportabili da togliersi la vita ! Ma chi ha sponsor danarosi può pagarsi anche una pagina di propaganda fanatica su un quotidiano nazionale e allora in tanti leggiamo che la parola genere è pericolosa, e allora sentiamo che,se qualcuno ne parla a scuola, via a dire di NO, senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. C’è perfino il rischio che anche persone, che ricoprono ruoli istituzionali importanti in tema di educazione, si lascino condizionare dalle varie forme di violenza psicologica che allarmano i genitori e calcano la mano sul naturale senso di protezione verso l’infanzia ! Questi integralismi che istigano all’odio contro gli omosessuali e, sbandierando slogan contro la parola “gender”, non rappresentano che se stessi, una minoranza gretta (a volte si rivelano anche banalmente dei mediocri in cerca di fama) ma pericolosa ! Tutto quel mondo cattolico aperto ed accogliente, portatore dei principi cristiani, non finisce alla tivù, non scende in piazza in manifestazioni omofobe che ci riportano al medioevo, ma oggi quello che io non vedo non esiste. Eppure esiste. Questi integralisti si sono organizzati proprio per frenare qualcosa che loro non riescono ad accettare, proprio come negli anni 50, nel Mississippi o nell’Alabama, il kkk frenava contro l’apertura mentale della popolazione bianca, che non voleva più schiavi ma uomini e donne liberi con cui convivere pacificamente. Ho visto il film Selma. Quello che ha sconfitto razzismo e schiavitù, in Alabama, oltre alla lotta dei neri che hanno perseverato nella loro ribellione, pagando spesso con la vita il loro coraggio, è stata la partecipazione di tanti bianchi che sono scesi in strada con i neri, uomini e donne dalla pelle bianca hanno detto No alla violenza di altri uomini e donne bianche. Che hanno detto «non in mio nome», «io non sono così». E allora non occorre aspettare dunque di avere un amico o un familiare omosessuale per dissociarci dall’omofobia, da chi agisce e istiga all’odio non in nostro nome. Anche l’indifferenza rende complici. Anche il silenzio ! Quando assistiamo a discorsi omofobi, ad azioni omofobe, dobbiamo dissociarci, prendere posizione. Al bar, al parco, sul nostro posto di lavoro. Si sente dire che gli omosessuali si auto-discriminano. Anche io mi isolerei se non potessi tenere per mano mia moglie quando passeggio, scambiarmi con lei una tenerezza, allungare semplicemente una mano per stringere la sua mentre siamo al ristorante. Provate a immaginare di dover presentare una moglie o un marito come il migliore amico, la migliore amica, per mesi, per anni, per una vita intera. Non lo trovereste insopportabile? Perché di questo si tratta ! Ci sono delle coppie insieme da trent’anni anni, che non si sono mai dichiarate ai propri genitori, che li hanno già persi senza aver potuto dire «Ehi, papà, guarda che non è vero che non ho ancora trovato la persona giusta». Tornando all’adolescenza, provate a immaginarvi cosa vuol dire a 14, 15 anni, subire atti di bullismo a scuola, su facebook, dover fare finta di avere una fidanzatina o un fidanzatino e vergognarsi davanti allo specchio perché sai che ai tuoi genitori faresti schifo se sapessero come sei. Provate a pensare cosa significa doversi giustificare per come si è, dover essere contenti se quelli intorno a voi vi accettano, non vi fanno del male. Le persone non si devono accettare o tollerare. Io non mi faccio accettare, gli altri prendono atto che io esisto, punto. Nessuno indaga sulla mia vita sentimentale o sulla mia sessualità, nessuno mi chiede di giustificare i miei desideri. Nessuno mi soffoca, mi chiude in un recinto. A volte quando parliamo di diritti e leggi, sacrosanti, rischiamo di dimenticarci che stiamo parlando della vita quotidiana delle persone, della loro felicità e della loro infelicità. Di un rubinetto che perde un po’ di dolore ogni giorno, per tutta la vita. Nei momenti socialmente difficili, come quello che stiamo attraversando, c’è il rischio che gli stereotipi si rafforzino, perché lo stereotipo è qualcosa di certo e dunque di rassicurante. Più il nostro futuro ci appare incerto e più ci aggrappiamo alle poche cose certe che ci riportano indietro, a quando avevamo meno paura del presente e del futuro. C’è dunque il rischio di una deriva violenta, di cui abbiamo già degli esempi drammatici. Proprio per questo è indispensabile che ognuno di noi guardi alla propria coscienza e si interroghi su quello che vuole fare, su quello che vuole essere. Vuole seguire il mondo, che va avanti e cambia ed è già in movimento, o vuole remare indietro, dimenticando che le discriminazioni ci hanno fatto conoscere il peggio di noi? Nell’Alabama e nel Mississipi negli anni 50 avevano paura a stare vicino a un nero sull’autobus. Il razzismo non è sconfitto, ma hanno un presidente nero. Per eleggere un presidente nero significa non solo non averne paura, ma averne fiducia, perché andare a votare e mettere la croce su quel nome significa affidargli il proprio destino. Le cose sono cambiate in America, ma i neri sono sempre gli stessi di 70 anni fa. Gli omosessuali di oggi sono quelli che 70 anni fa si nascondevano in matrimoni eterosessuali infelici, sono gli stessi che tra 70 anni cammineranno per strada per mano senza che nessuno si volti a guardarli. Tra settanta anni il mondo guarderà a noi con la stessa rabbia e la stessa compassione con cui ricordiamo l’ignoranza di quelli che, pur non facendo parte del kkk, avevano paura a sedersi a scuola, in chiesa, al cinema, vicino a un nero. Li vediamo nei film e ci indigniamo, li troviamo violenti e patetici. Perché aspettare di guardarci indietro con commiserazione e rimpianto? Oggi possiamo decidere da che parte stare, possiamo e dobbiamo dire la nostra perché ogni discriminazione riguarda anche noi. In Europa siamo tra gli ultimi paesi in fatto di rispetto dei diritti civili. È una vergogna, se pensiamo a quando è stata scritta la nostra Costituzione, che parla di diritti e rispetto, di libertà, di dignità di tutte le persone, che è stata scritta per difenderci, per non farci mai più imbruttire, per non farci tornare mai più a quei tempi oscuri. Non sprechiamo energie per capire perché siamo tornati indietro nuovamente, investiamo le nostre energie per dirci che indietro non vogliamo più tornare. Per dirci che, presi uno ad uno, siamo più avanti di quel che pensiamo, ma se non lo diciamo, se stiamo zitti, non ci rendiamo nemmeno conto di essere più evoluti di coloro che ci vogliono tenere a bada, e che forse oggi alzano la voce proprio perché sentono che gli stiamo sfuggendo di mano, che siamo davvero pronti a sentirci cittadini europei e rendere questo Paese più aperto e più giusto ! Di omofobia lieve soffriamo tutti, l’abbiamo bevuta nel biberon, ma possiamo curarci. Cominciando a riconoscercela addosso, per poi dichiararla ed elaborarla con serenità. Di omofobia lieve si può guarire, ma non da soli. Bisogna aiutarsi l’un l’altro, e contemporaneamente, come per tante patologie, fare prevenzione. E bisogna investire con fiducia nei ragazzi e nelle ragazze – anche loro mal rappresentati dai media – nella loro forza e nella loro capacità di essere più onesti e liberi, più capaci di convivere anziché dividere di quanto lo siamo stati noi. Il fallimento sociale ci dice che è finito il tempo dell’individualismo, dell’avidità, della spregiudicatezza che ci ha inaridito e impoverito, economicamente e umanamente. Che dobbiamo e possiamo riprenderci quella capacità di creare cultura e civiltà, capacità che, a volte, sembra soffocare nella grettezza, ma che abbiamo ancora, che è il nostro patrimonio, è un patrimonio che non abbiamo difeso, ma che portiamo con noi. Quello che ci salverà è rimettere al centro le relazioni umane, è ritrovare un’alleanza tra esseri umani. E questo può accadere soltanto se ricominciamo da noi, restituendo ai nostri figli ma anche a noi stessi quelle parole come rispetto, libertà, civiltà, che ci fanno vivere meglio tutti, e che ci meritiamo!

domenica 17 gennaio 2016

lunedì 4 gennaio 2016

In una bianca stanza......

Le prime avvisaglie dell'aurora
svelano l'umanità dormiente dietro una finestra d'ospedale ritrovo il senso dell'immenso. In una bianca stanza coatti compagni nella sofferenza frantumano il guscio della malattia con un buondì e un dolce sorriso!