lunedì 29 giugno 2015

Oggi non è più importante chi detiene il potere politico........oggi non conta nulla!

Negli ultimi venticinque anni il capitale finanziario multinazionale, piuttosto che negli investimenti e nel commercio, è stato impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari internazionali, al punto da dare l’impressione che gli Stati Uniti siano diventati una colonia alla mercé dei movimenti di capitali internazionali. Non ha più importanza chi detiene il potere politico, tanto non sono più loro a decidere le cose da fare. Che portata ha, oggi, questo fenomeno sulla scena intemazionale? Per prima cosa dobbiamo fare più attenzione al linguaggio che utilizziamo, me compreso. Non dovremmo parlare semplicemente di “Stati Uniti”, perché non esiste una simile entità, così come non esistono entità come l'”Inghilterra” o il “Giappone”. Può darsi che la popolazione degli Stati Uniti sia “colonizzata”, ma gli interessi aziendali che hanno base negli Stati Uniti non sono affatto “colonizzati”. A volte si sente parlare di “declino dell’America”, e se si osserva la quota mondiale di produzione che viene effettuata sul territorio degli Stati Uniti è vero, è in declino. Ma se si considera la quota di produzione mondiale delle aziende che hanno sede negli Stati Uniti, ci si accorgerà che non c’è alcun declino, anzi, le cose vanno per il meglio. Il fatto è che questa produzione ha luogo soprattutto nel Terzo mondo. Quindi possiamo parlare di “Stati Uniti” come entità geografica, ma non è questo ciò che conta nel mondo degli affari. In sintesi, se non si parte da un’elementare analisi di classe non si riesce nemmeno a comprendere il mondo reale: cose come “gli Stati Uniti” non sono entità. Ma lei ha comunque ragione: gran parte della popolazione degli Stati Uniti viene sospinta verso una sorta di condizione sociale da Terzo mondo colonizzato. Dobbiamo però ricordare che esiste un altro settore, composto da ricchi manager, da ricchi investitori e dai loro scherani nel Terzo mondo, come i gangster della mafia russa o qualche ricco dignitario brasiliano, che curano i loro interessi a livello locale. E questo è un settore del tutto diverso, i cui affari stanno andando a gonfie vele. Per quanto riguarda i capitali destinati alle speculazioni, anch’essi hanno una parte estremamente importante. Lei è nel giusto quando sostiene che hanno un enorme impatto sui governi nazionali. Si tratta di un fenomeno molto esteso; le cifre sono di per sé impressionanti. Intorno al 1970, circa il 90 percento del capitale coinvolto nelle transazioni economiche internazionali veniva utilizzato a scopi commerciali o produttivi e soltanto il 10 percento a scopi speculativi. Oggi le cifre si sono invertite: nel 1990, il 90 percento del capitale totale era utilizzato per la speculazione; nel 1994 si era saliti addirittura al 95 percento. Inoltre l’ammontare globale del capitale speculativo è esploso: l’ultima stima della Banca mondiale indicava una cifra di circa 14 000 miliardi di dollari. Ciò significa che ci sono 14 000 miliardi di dollari che possono essere liberamente spostati da un’economia nazionale a un’altra: un ammontare enorme, superiore alle risorse di qual siasi governo nazionale, e che quindi lascia ai governi possibilità estremamente limitate quando si tratta di operare scelte politiche economico-finanziarie. Perché si è verificata una crescita tanto imponente del capitale speculativo? I motivi chiave sono due. Il primo ha a che fare con lo smantellamento del sistema economico mondiale del dopoguerra, che avvenne nei primi anni settanta. Vedete, durante la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti riorganizzarono il sistema economico mondiale e si trasformarono in una sorta di “banchiere globale” [durante la Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite a Bretton Woods, nel 1944]: il dollaro diventò la valuta mondiale, venne fissato all’oro e divenne il punto di riferimento per le valute degli altri paesi. Questo sistema fu alla base della consistente crescita economica degli anni cinquanta e sessanta. Ma negli anni settanta il sistema di Bretton Woods era divenuto insostenibile: gli Stati Uniti non erano più abbastanza forti economicamente da continuare a essere il banchiere del mondo, soprattutto per gli alti costi della guerra nel Vietnam. Così Richard Nixon prese la decisione di smantellare del tutto l’accordo: all’inizio degli anni settanta sganciò gli Stati Uniti dal sistema monetario aureo, aumentò le tasse sulle importazioni, distrusse tutto il sistema. La fine di questo sistema di regolamentazione internazionale diede l’avvio a una speculazione sulle valute senza precedenti e a una fluttuazione degli scambi finanziari, fenomeni da quel momento in costante crescita. Il secondo fattore che ha determinato il boom del capitale speculativo è stato la rivoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni, che avvenne nello stesso periodo e rese d’improvviso molto facile il trasferimento di valuta da un paese all’altro. Oggi, virtualmente, l’intera Borsa valori di New York si sposta a Tokyo durante la notte: il denaro è a New York di giorno, poi viene trasferito “via rete” a Tokyo, e siccome il Giappone è in anticipo di quattordici ore rispetto a noi, lo stesso denaro viene utilizzato in entrambi i posti. Ormai, quasi 1000 miliardi di dollari vengono spostati quotidianamente sui mercati speculativi internazionali, con effetti enormi sui governi nazionali. A questo punto, la comunità internazionale che gestisce questi investimenti ha un virtuale potere di veto su tutto ciò che un governo nazionale può fare. È quanto accade oggi negli Stati Uniti. Il nostro paese si sta riprendendo lentamente dall’ultima recessione; certamente è la ripresa più lenta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma c’è stagnazione soltanto sotto un certo punto di vista: la crescita economica è molto bassa, si sono creati pochi posti di lavoro (in realtà, per molti anni, i salari sono persino scesi durante questa “ripresa”), ma i profitti sono andati alle stelle. Ogni anno la rivista Fortune esce con un numero dedicato alla ricchezza delle persone più importanti del mondo, Fortune 500, il quale ci dice che i profitti in questo periodo si sono impennati: nel 1993 erano molto buoni, nel 1994 esaltanti e nel 1995 avevano battuto ogni record. Nel frattempo i salari reali scendevano, la crescita economica e la produzione erano molto basse e questa lenta crescita a volte veniva addirittura fermata perché il mercato obbligazionario “dava segnali” di non gradirla. Vedete, gli speculatori finanziari non vogliono la crescita: vogliono valute stabili, quindi niente crescita. La stampa specializzata parla apertamente della «minaccia di una crescita troppo impetuosa», della «minaccia di un eccesso di occupazione»: tra di loro lo dicono chiaramente. Il motivo? Chi specula sulle valute teme l’inflazione, perché fa diminuire il valore del suo denaro. E qualunque tipo di crescita o di stimolo economico, qualunque diminuzione della disoccupazione minacciano di far crescere l’inflazione. Agli speculatori valutari questo non piace, così quando vedono i primi segnali di una politica di stimolo dell’economia o di una qualsiasi iniziativa capace di produrre una crescita, portano via i capitali da quel paese, provocando una recessione. Il risultato complessivo di queste manovre è uno spostamento internazionale verso economie a bassa crescita, bassi salari e alti profitti, perché i governi nazionali che cercano di prendere decisioni di politica economica e sociale non hanno mano libera temendo una fuga di capitali che potrebbe far crollare le loro economie. I governi del Terzo mondo sono bloccati, non hanno nemmeno la possibilità di portare avanti una politica economica nazionale. Ormai c’è da chiedersi se anche le grandi nazioni, Stati Uniti inclusi, abbiano la possibilità di farlo. Non credo che i governi che si sono succeduti in America avrebbero voluto politiche economiche molto diverse ma, nel caso, penso che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, attuarle. Per darvi soltanto un esempio, subito dopo le elezioni del 1992, sulla prima pagina del Wall Street Journal comparve un articolo in cui si informavano i lettori che non avevano alcun motivo di temere che qualcuno dei “sinistrorsi” vicini a Clinton avrebbe cambiato qualcosa una volta arrivato al potere. Ovviamente il mondo degli affari già lo sapeva, come si può notare osservando l’andamento dei mercati finanziari verso la fine della campagna elettorale. Ma ad ogni buon conto il Wall Street Journal spiegò che, se per qualche sfortunata coincidenza Clinton o qualsiasi altro candidato avesse cercato di avviare un programma di riforme sociali, sarebbe stato immediatamente bloccato. L’articolo affermava una cosa ovvia e citava i dati che la confermavano. Gli Stati Uniti hanno un forte debito, che era parte integrante del programma Reagan-Bush per non permettere al governo di portare avanti iniziative di spesa sociale. “Essere in debito” significa soprattutto che il dipartimento del Tesoro ha venduto un sacco di titoli – obbligazioni, buoni del Tesoro e via discorrendo – agli investitori, che a loro volta li scambiano sul mercato dei titoli. Secondo il Wall Street Journal, ogni giorno si scambiano circa 150 miliardi di dollari esclusivamente in titoli del Tesoro. L’articolo spiegava che se gli investitori che possiedono questi titoli non apprezzano le politiche del governo americano possono, come avvertimento, venderne qualche piccola quota e ciò provocherà automaticamente un aumento del tasso d’interesse, che a sua volta farà aumentare il deficit. Ebbene, in questo articolo si calcolava che se questo “avvertimento” fosse sufficiente ad alzare il tasso d’interesse dell’1 percento, il deficit aumenterebbe da un giorno all’altro di 20 miliardi di dollari. Ciò significa che se Clinton (questa è pura immaginazione) proponesse un programma di spesa sociale di 20 miliardi di dollari, la comunità degli investitori potrebbe trasformarlo istantaneamente in un programma da 40 miliardi dollari, con un solo piccolo segnale, bloccando così ogni altra mossa di quel genere. Contemporaneamente, sull’Economist di Londra – grande giornale liberista – si poteva leggere un articolo fantastico sui paesi dell’Europa orientale che avevano votato per far tornare al potere i socialisti e i comunisti. Ma in sostanza l’articolo invitava a non preoccuparsi, perché «l’amministrazione è sganciata dalla politica». In altre parole, indipendentemente dai giochi che quei tipi si divertono a fare nell’arena politica, le cose continueranno come sempre, perché li teniamo per le palle: controlliamo le valute internazionali, siamo gli unici che possono concedere prestiti, possiamo distruggere le loro economie come e quando vogliamo. Che si occupino pure di politica, che fingano pure di avere la democrazia che vogliono, facciano pure: basta che «l’amministrazione sia sganciata dalla politica». Quello che sta accadendo in questo periodo è una novità assoluta. Negli ultimi anni si sta imponendo un nuovo tipo di governo, destinato a servire i bisogni sempre crescenti di questa nuova classe dominante internazionale, che a volte è stata definita “il governo mondiale di fatto”. I nuovi accordi internazionali sul commercio riguardano proprio questo aspetto, e parlo del NAFTA, del GATT e così via, così come della cee e delle organizzazioni finanziarie come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca interamericana di sviluppo, l’Organizzazione mondiale del commercio (wto), i G7 che programmano gli incontri tra i grandi paesi industrializzati. Questi organismi sono tutti espressione della volontà di concentrare il potere in un sistema economico mondiale che faccia sì che «l’amministrazione sia sganciata dalla politica»; in altre parole, che la popolazione mondiale non abbia alcun ruolo nel processo decisionale, che le scelte strategiche vengano trasferite in un empireo lontanissimo dalle possibilità di conoscenza e di comprensione della gente, che così non avrà la minima idea delle decisioni che influenzeranno la sua vita e certo non potrà modificarle. La Banca mondiale ha un proprio modo per definire il fenomeno: lo chiama “isolamento tecnocratico”. Quindi, se leggete gli studi della Banca mondiale, vedrete che parlano dell’importanza dell’ “isolamento tecnocratico”, alludendo alla necessità che un gruppo di tecnocrati, essenzialmente impiegati nelle grandi imprese multinazionali, operi in pieno “isolamento” quando progetta le politiche perché, se la gente venisse coinvolta, potrebbe farsi venire in mente brutte idee, come un tipo di crescita economica che operi a favore di tutti invece che dei profitti e altre sciocchezze del genere. Allora bisogna che i tecnocrati siano isolati, e una volta ottenuto lo scopo si potrà concedere tutta la “democrazia” che si vuole, tanto non farà alcuna differenza. Sulla stampa economica internazionale questo quadro è stato definito con una certa franchezza come “la nuova età imperiale”. E la ritengo una definizione azzeccata: di certo stiamo andando in quella direzione. Noam Chomski

venerdì 26 giugno 2015

Laudato sì.......tra crescita e sviluppo!

Da Papa Francesco una proposta di riforma del modello di sviluppo economico e sociale globale. Con Laudato si' il Papa non si limita a un’analisi teologica di ciò che vuol dire cura del Creato. Fa un passo avanti: per rispettare la casa comune, comune a tutti gli uomini, occorre ripensare la nostra economia. Riprende in questo Paolo VI e la sua Populorum progressio e dice: guardate che lo sviluppo o è integrale oppure non è sviluppo. Ci sono tre dimensioni per analizzare lo sviluppo di una società. Quella materiale, misurata dal Pil; quella sociale, misurata dagli indici di diseguaglianza; quella spirituale, che guarda al modo in cui una economia soddisfa i bisogni spirituali dell’uomo (per esempio il bisogno di riservare un giorno alla festa). Francesco dice che queste tre dimensioni sono intrecciate. Non può esserci crescita del Pil senza crescita dell'uguaglianza tra gli uomini, senza rispetto delle loro necessità spirituali. Alcuni economisti confondono sviluppo e crescita. La crescita è solo l’aspetto materiale dello sviluppo. Ma fare del Pil un idolo è prendere la parte per il tutto. Questa enciclica dice che il Papa è favorevole allo sviluppo, non alla crescita in sé se questa comporta un aumento delle diseguaglianze». Tutto questo farà sicuramente discutere! Farà discutere perchè tutto questo vuol dire toccare un nodo politico. Non ci si può mettere il cuore in pace dicendo che questo capitalismo ha ridotto la povertà. Non basta, almeno a noi cristiani. Serve ridurre anche le diseguaglianze. Qualcuno fraintenderà questo messaggio del Papa, che tuttavia è cristallino. Non si presta a equivoci, se si è in buona fede!

Lo schiaffo

Lo schiaffo Se vuoi avere ragione parla. Se vuoi convincermi parla. Se vuoi sapere parla. Uno schiaffo non è una strada più dritta, uno schiaffo è una sconfitta. Nel 1984 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Tre anni dopo, il 26 giugno, la Convenzione entra in vigore. Per questo ogni anno il 26 giugno si celebra la Giornata internazionale per le vittime di tortura.

giovedì 25 giugno 2015

Su......alziamo lo sguardo dal nostro ombelico!!!

Ecco.....se alziamo lo sguardo dal nostro ombelico e proviamo a posizionarci un po' più in alto, diciamo verso la Luna, possiamo vedere un'unica Terra, con degli omini piccini picciò che ci vorrebbe un cannocchiale di quelli potentissimo per vederli, mentre litigano sul modo migliore per rinchiudere i loro fratelli in terre sfortunate,avvalendosi di leggi che loro stessi hanno scritto. Per questo io starò sempre con chi viaggia per cercare qualcosa di meglio, perché si chiama libertà".

martedì 23 giugno 2015

LA CURA

Conosco una cura, la più efficace, l’unica cura che a farla piace, produce effetti assai sorprendenti, miracolosi, stupefacenti. Nessuna controindicazione, semplice la somministrazione: una dose di abbracci massiccia, dalla mattina fino alla sera, alla persona più malaticcia dona subito un’altra cera. Cura che non prescrive il dottore, che non necessita di alcuna ricetta, principio attivo è solo l’amore, chi più ne ha, più ce ne metta. Mai è successo che per sovradosaggio qualcuno poi ne abbia tratto disagio, anzi, con l’uso sconsiderato, l’effetto è più certo e immediato. Alternativa e naturale, cura d’origine primordiale, scoperta quando, come d’incanto, abbraccio di mamma calmò il primo pianto! (G.B.)

lunedì 22 giugno 2015

Il tema dell'identità di genere : molta confusione !

"GIÙ le mani dai nostri figli", "Uomo e donna siamo nati", "Stop gender nelle scuole", "Il gender è lo sterco del demonio". Alcuni degli slogan presenti negli striscioni e nei cartelli che hanno riempito sabato Piazza San Giovanni per il Family day mostrano quanta paura ci sia oggi nella società quando si tocca il tema dell'identità di genere e dell'omosessualità. Il "gender" sul banco degli accusati, prima ancora della legge Cirinnà sulle unioni civili. Un "gender" qualificato come " progetto folle" e come "colonizzazione ideologica" non solo da tanti cattolici, ma anche dall'Imam di Centocelle, anche lui presente in Piazza San Giovanni, e dal Rabbino capo di Roma. Un "gender" accusato di inquinare i cervelli dei bambini e di distruggere l'umanità. Un "gender" responsabile della distruzione della famiglia e del caos generale. Ma che cos'è mai questo "gender"? Quale sarebbe il diabolico progetto dei suoi ideologi? Procediamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro. Anche solo per capire quando e come è stato per la prima volta utilizzato il termine "genere" - visto che "gender" altro non è che il vocabolo inglese utilizzato ogniqualvolta si parli di identità e di orientamento sessuale. Ebbene, dopo che per secoli ci si è riferiti alle differenze esistenti tra gli uomini e le donne solo attraverso il termine "sesso", negli anni Cinquanta, prima negli Usa con i lavori di John Money del 1955, poi anche in Europa a partire dagli studi di Claude Lévi-Strauss e di Michel Foucault, si è cominciato a capire che sarebbe stato meglio distinguere il "sesso" dal "genere", anche semplicemente perché il sesso rinvia direttamente alle caratteristiche genetico-biologiche, mentre il genere designa il complesso di regole, implicite o esplicite, sottese ai rapporti tra uomini e donne. Chi non ricorda la famosa frase di Simone de Beauvoir quando, ne "Il secondo sesso" (1949), spiegava che non si nasce donna, ma lo si diventa? Frase ormai celebre, ma il cui significato, forse, non è più così chiaro. Visto che l'intellettuale francese non aveva alcuna intenzione di dire alle donne che potessero o meno scegliere di essere donne. Lo scopo di Simone de Beauvoir era solo quello di spiegare alle donne che avevano il diritto di ripensare il proprio ruolo all'interno della società uscendo da quegli stereotipi che, per secoli, le avevano rese prigioniere della subordinazione all'uomo. Ripensare i ruoli di genere, quindi, non per cancellare le differenze, ma per promuovere l'uguaglianza. Idee semplici e di buon senso al fine di uscire dall'impasse del naturalismo ontologico in base al quale le donne dovevano "per natura" accontentarsi di procreare e di occuparsi della vita domestica, lasciando gli uomini liberi di gestire la "cosa pubblica". Che cosa è successo da allora? Di teorie e di studi sul gender, negli ultimi anni, ne sono nati molti. C'è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della mascolinità, cercando di mostrare che è da bambini che si introiettano modelli e comportamenti; e che, se si continua a suggerire il fatto che i maschietti sono più adatti all'esercizio del potere e all'uso della razionalità mentre le femminucce sono più adatte ai mestieri della cura, di fatto non si riuscirà mai a uscire dagli stereotipi (si pensi alle ricerche di Nicole-Claude Mathieu, di Françoise Collin e di Luce Irigaray). C'è chi si è concentrato sul bullismo e sui comportamenti violenti nei confronti di tutte coloro e di tutti coloro che non coincidono esattamente con l'immagine che ci fa dell'essere una ragazza o una donna o dell'essere un ragazzo o un uomo - si pensi alle numerose ricerche pubblicate su The American Behavioral Scientist Journal. C'è chi come Judith Butler o Jonathan Katz, ma la lista completa sarebbe lunga, ha cercato di spiegare e di mostrare che l'orientamento sessuale non è una conseguenza inevitabile della propria identità di genere, e che essere gay non significa non essere pienamente uomini così come essere lesbiche non significa non essere pienamente donne. C'è infine chi ha cercato anche di lottare contro le discriminazioni legate alle incertezze identitarie, che portano alcune persone a voler cambiare sesso, non perché sia un capriccio o un gioco, ma perché accade che ci si possa sentire prigionieri di un "corpo sbagliato" (si vedano tra gli altri gli studi di Patrick Califia). Si capisce quindi bene come non esista una, e una sola, "ideologia gender" ma un insieme eterogeneo di posizioni. Alcune più radicali, altre meno. Alcune talvolta eccessive, come certe posizioni queer di Teresa de Lauretis. Quasi tutte, però, volte a prendere in considerazione e sul serio la complessità del reale. Il fatto che, nella realtà, esistano tanti modi di essere e di sentirsi uomini e donne. Che ci sono donne che amano altre donne senza che per questo essere meno femminili e uomini che amano altri uomini senza per questo essere meno maschili. Che ci sono donne eterosessuali con tratti di mascolinità e uomini eterosessuali con tratti di femminilità. Senza alcuna volontà di sconvolgere l'ordine naturale delle cose e creare il caos. Anche perché l'identità e l'orientamento sessuale non sono frutto del capriccio o del peccato. Non si insegnano e non si scelgono. Sono. Esattamente come il fatto di essere bianchi, neri o gialli. Contrariamente ai fantasmi di chi se la prende con l'insegnamento del "gender", - in nome di un controllo sulla morale l'educazione all'affettività e alla tolleranza nei confronti delle tante differenze non ha come scopo quello di spingere i maschietti a diventare femmine o viceversa. Esattamente come non si insegna a un eterosessuale a diventare omosessuale o a un omosessuale a diventare eterosessuale. Lo scopo è solamente quello di favorire il rispetto di chiunque, indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale, perché non è vero che un gay o una lesbica siano dei mostri e non è vero che se una bambina gioca con i soldatini o un bambino con le bambole siano "sbagliati". "Giù le mani dai nostri figli", allora! Ma giù le mani anche da quel ragazzo che si vestiva di rosa e amava lo smalto e che si è suicidato, perché i compagni lo chiamavano "frocio". Giù le mani da quei bimbi che sentono nascere in sé sentimenti che alcuni giudicano "contro natura" e che pensano di essere sbagliati. La paura di chi è diverso ha radici antiche. Ed è facile suscitarla quando, invece di capire che non c'è niente di mostruoso nell'essere omosessuali , si invoca la fine dell'ordine e si spaccia la tolleranza e la carità per "sperimentazioni sessuali" sui più piccoli. "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?", recitava il Vangelo di ieri. Dopo aver invocato lo "sterco del demonio", forse si potrebbe ripartire da qui.

domenica 21 giugno 2015

sabato 20 giugno 2015

E' in famiglia che comincia il percorso.....verso l'altro!

Un raccapricciante fatto di cronaca.....del ventunenne americano che decide improvvisamente di iniziare la sua guerra razziale......ci lascia come sempre sgomenti.....poi imperiosa.... una domanda..... molto precisa......ma il mostro è lui ? Siamo convinti che sia proprio lui??? Io mi sono rivisto improvvisamente bambino....avevo due-tre anni e,quasi settimanalmente, arrivava nella mia casa un'anziana sordomuta, accolta con un grande sorriso e con un abbraccio da mia madre (in paese l'anziana donna non riceveva in realtà molti sorrisi in ragione della sua diversità). Io, troppo piccolo, ero letteralmente terrorizzato da quella donna, che in paese era conosciuta con il soprannome "la muta!", che faceva tanta fatica ad esprimersi , con il suo linguaggio fatto solo di esclamazioni e tuttavia compreso perfettamente da mia madre ( che se la rideva, prendendomi anche in giro, quando io, preso dal terrore, mi nascondevo dietro la porta, quando "la muta" arrivava)! In cuor mio comprendevo la condizione di quella donna emarginata nel paese e, in ragione di questo atteggiamento collettivo "razzista", anch'io facevo tanta fatica ad accettare quella diversità!....Poi.....gradualmente....la calda accoglienza e l'abbraccio (e un pezzo di pane "fatto in casa") che mia madre riservava a quella donna sistematicamente, hanno fatto il resto o hanno fatto tutto......perchè da allora anch'io ho incominciato a sorridere....all'altro ! E da allora ho capito che la luce dell'amore e dell'accoglienza si accende e comincia a splendere nella realtà familiare!

giovedì 18 giugno 2015

MIGRANTI....propaganda e realtà!

"Imbattersi praticamente ogni sera con Salvini in tv, comprese le feste comandate, non aiuta la comprensione di un fenomeno con cui stiamo facendo i conti da diversi anni e con cui continueremo a farli. Causa le insostenibili diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione dei mercati in questi decenni e causa quella che Papa Francesco ha definito come “una terza guerra mondiale a pezzi, a capitoli, dappertutto”. I disperati scappano da fame, guerra, scappano dai terroristi, sono disposti a tutto (al deserto, all’attraversamento del mare su carrette di legno) pur di poter pensare a un futuro diverso. Tutto qui. E a scappare sono in tanti, si contano 50 milioni di profughi, ovvero persone (uomini, donne, vecchi e bambini) in fuga. L’Europa finge di non vedere, chiusa in egoismi che pagherà, così l’Italia, i governatori e sindaci che starnazzano i propri infantili incubi. Ma di cosa stiamo parlando? Vediamo i dati della realtà rispetto ai tormentoni della propaganda. Fermare l’invasione Qualche dato, prima di sentirci vittime di un’invasione. Prima di tutto, i flussi migratori complessivi verso l’Italia sono diminuiti, per effetto della crisi economica, e non aumentati: gli ingressi erano più di 400mila all’anno fino al 2009, nel 2013 sono scesi a poco più di 250mila, nel 2014 sono stati 220 mila. Gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese, per avere un termine di confronto, nel 2014 sono stati 90mila! Tra i migranti arrivati illegalmente, meno di 70mila hanno presentato richiesta di asilo in Italia. Gli altri non sono fantasmi che circolano nell’ombra: hanno oltrepassato le frontiere senza farsi registrare per chiedere asilo altrove. I paesi dell’Europa centro-settentrionale, per non dire della Turchia, accolgono più rifugiati di noi: nel 2013, al netto delle nuove domande, 232mila in Francia, 190mila in Germania, 126mila nel Regno Unito, 114mila in Svezia, contro 78mila dell’Italia. Se poi allarghiamo lo sguardo, scopriamo che la Turchia, che accoglieva 600mila rifugiati nel 2013, ora ne dichiara oltre un milione; il Libano (un Paese da 4,5 milioni di abitanti!) ne ospita quasi 2milioni, quasi un profugo ogni 2 abitanti. L’Italia, per avere il senso delle proporzioni, ne ospita poco più di 1 ogni mille abitanti, la Svezia 9, Malta 23. Non possiamo accogliere tutti! Per gran parte dell’opinione pubblica, complici i media, immigrati, rifugiati e sbarcati sono la stessa cosa. Sono tutti bisognosi che tendono la mano. Invece, è necessario distinguere. Gli sbarcati in tre anni sono stati circa 140mila. Gli immigrati stranieri, residenti in Italia, sono poco più di 5 milioni (ma attenzione... la metà arrivano da Paesi europei). Solo una modesta frazione degli immigrati quindi arriva dal mare. I più entrano con regolari permessi turistici, o per ricongiungimento familiare, oppure sono cittadini europei con diritto alla mobilità (rumeni e bulgari). E almeno 2,5 milioni hanno un lavoro. Contrariamente a quanto si crede, in questi anni di crisi, stando alle rilevazioni dell’Istat, è aumentata la loro partecipazione al mercato del lavoro regolare, gli immigrati contribuiscono per 1,6 miliardi alle entrate dello Stato italiano. Ne arrivano troppi.......non ce la facciamo. Lombardia, Veneto, Liguria hanno ragione di lamentare un sovraccarico di richiedenti asilo? No, si tratta di una menzogna bella e buona.Secondo i dati elaborati da Vita.it su report Cir: la Lombardia ospita nei centri di accoglienza (o in altre strutture temporanee) 65,98 profughi ogni 100 mila abitanti, il Veneto 60,40, la Liguria 90,45. Fanno molto di più le regioni del Sud: il Molise ospita 398,69 profughi ogni 100mila abitanti, la Sicilia, ha nei centri di accoglienza 314 profughi ogni 100 mila abitanti, la Calabria 241, la Basilicata 171,88. Lombardia, Liguria e Veneto, insieme (11.009 persone) accolgono meno migranti della sola Sicilia (16.016 persone). Di che blaterano allora Maroni, Zaia e Toti? I rifugiati invadono le nostre città. Si dice, con il beneficio di qualche foto in campo stretto nelle stazioni, che i rifugiati rimangono sul territorio, intasando le strutture e invadendo le città. Anche questa è una menzogna della propaganda che fa leva sulla paura per conquistare i residui voti. La maggior parte dei rifugiati transita e cerca di oltrepassare le Alpi. Dei 170 mila sbarcati nel 2014 soltanto 7 mila hanno chiesto asilo in Italia. Un esempio, dal 18 ottobre 2013, circa 64mila persone sono transitate da Milano, tra i quali hanno chiesto asilo solo in 140. Il 99,9% non ne ha fatto richiesta". Ma di che parliamo?

martedì 16 giugno 2015

Certo......siamo in guerra.......ma i nemici non sono loro!

Siamo in guerra? Forse...ma i nemici non sono loro ! Ad ogni «Stiamo subendo un'invasione» e «Siamo stanchi di subire» che ascolto in giro o leggo in Rete mi chiedo quante angherie hanno subito, personalmente, le persone che esprimono quei pensieri. E andando a grattare appena un po' si scopre che nella maggior parte dei casi non hanno nemmeno mai assistito a nulla che faccia pensare loro che siamo ormai cittadini di serie b a casa nostra, mentre orde di stranieri arrivano e fanno un po' quello che vogliono, protetti, sostenuti e finanziati dalle istituzioni che invece lasciano noi all'abbandono. Le storie di migranti che godono di privilegi particolari negati a noi sono sempre riportate da conoscenti, parenti, persone incontrate per caso. Non una prova di quanto affermato, non un riferimento chiaro. Storie che crescono e si diffondono come leggende metropolitane e diventano vere per il semplice fatto che vengono raccontate. Poco importa se nulla prova che esista un fondamento di realtà. Storie che vengono credute e diffuse con un atto di fede di fronte al quale nessun numero, nessun dato, nessun fatto risulta efficace. [Qui è dove arrivano quelli che «Lo so per certo, l'ho visto io» e però non sanno provare nulla, balbettano e se ne vanno] Nessun numero, nessun fatto ci distoglierà dalla convinzione che siamo in guerra. Nessun appello a sentirci umani e rispettare gli altri in quanto esseri umani ci farà smettere di sentirci in guerra. Lo ha detto la televisione! E allora forse bisogna cominciare a ripetere come un mantra (uguale e contrario all'altro) che sì, siamo in guerra. Ma non con i poveri come noi. E tantomeno con quelli più poveri di noi. Siamo in guerra con quelli che hanno causato la peggiore crisi finanziaria di sempre e che, impuniti, sono riusciti a scaricarla sulla collettività trasformandola in una crisi del debito pubblico che oggi impone austerità e tagli (opportunamente ribattezzati "riforme strutturali" per spaventare meno un pubblico che deve essere impegnato ad avere paura dell'invasione straniera). Siamo in guerra con le élite finanziarie che, fuori da qualsiasi controllo, decidono della nostra vita. Il problema è che al momento questa guerra la stanno conducendo (e vincendo) loro da soli, perché noi siamo impegnati a prendercela con falsi obiettivi: i poveracci che scappano da guerre e miseria, la "casta" intesa à la Grillo. Dovremmo iniziare a indicare con insistenza e senza stancarci la luna e distogliere gli sguardi dal dito: siamo in guerra? Sì, ma non con chi ci fanno credere e, soprattutto, non stiamo combattendo. Ed è l'ora di cominciare. (S.V.)

domenica 14 giugno 2015

Carissimi africani....come va?

Carissimi africani, come va? Qui è l'Europa che vi parla! Da Bruxelles, avete presente? Pensate che proprio da qui giusto un secolo e mezzo fa ci si divertiva a farvi lavorare gratis nelle piantagioni e nelle miniere per la maggior ricchezza di re Leopolodo, però dai, ragazzi, noi ci si conosceva già da parecchio prima: quando tutti insieme - inglesi, olandesi, portoghesi, spagnoli etc - abbiamo messo in catene 12 milioni di voi per venderli in America, e anche lì è stato un bel business. D'accordo, un paio di milioni ci sono rimasti durante la navigazione, ma pazienza: su quel lucrosissimo commercio triangolare abbiamo costruito la nostra rivoluzione industriale, quella che voi non avete avuto. Poi però portarvi di là in catene non ci bastava più e allora abbiamo pensato di prendere direttamente le vostre terre, perché abbiamo scoperto che erano piene di roba che ci poteva essere utile. I francesi hanno iniziato dal nord e gli inglesi da sud, un po' di stragi a schioppettate ed è diventato tutto roba nostra. Anche i belgi, si diceva, si sono dati da fare, pensate che a un certo punto il loro impero era composto al 98 per cento di terre africane. Poi si sono mossi i tedeschi, infine gli italiani, insomma dopo un po' non c'era più un fazzoletto di continente che fosse vostro, che ridere. A proposito degli italiani, come sempre sono arrivati ultimi, però si sono rifatti con il record di prima nazione al mondo che ha usato i gas sui civili, a un certo punto donne e bambini si ritrovavano dentro una nuvola di iprite e morivano a migliaia tra orrendi spasmi. «Mica vorranno che gli buttiamo giù confetti», disse il generale De Bono, che simpatico burlone. Il bello è che chi si trovava nei dintorni moriva anche una settimana dopo, il corpo pieno di devastanti piaghe, per aver bevuto l'acqua dei laghi piena di veleno, che fresconi che siete stati a non accorgervene. Finito il colonialismo - ormai vi avevamo rubato quasi tutto, dai diamanti alle antiche pergamene amhare - non è che ci andasse proprio di levare le tende e allora abbiamo continuato a controllare la vostra politica e la vostra economia, riempiendo d'armi i dittatori che ci facevano contratti favorevoli, quindi comprando a un cazzo e un barattolo quello che ci serviva in Europa, devastando i vostri territori e imponendo le nostre multinazionali per quello che abbiamo deciso dovesse essere il vostro sviluppo. Voi creduloni ci siete cascati ancora e ci siamo divertiti così per un altro secolo. Se poi un dittatore si montava un po' la testa e pensava di fare da solo, niente di grave: lo cambiavamo con un altro, dopo aver bombardato un po' di città e aver rifornito di cannoni le milizie che ci stavano simpatiche per massacrare quelle che ci stavano antipatiche. Del resto da qualche parte le mitragliatrici o i carrarmati che produciamo li dobbiamo pure piazzare, qui in Europa siamo in pace da settant'anni e mica possiamo rinunciare a un settore così florido. Negli ultimi venti-trent'anni poi abbiamo creato un modello nuovo che si chiama iperconsumismo e globalizzazione, allora abbiamo scoperto che l'Africa era perfetta per comprarsi tutto quello che noi non volevamo più perché noi dovevamo possedere roba nuova e con più funzioni, così abbiamo trasformato il porto di Lomé in un immenso centro di svendita dei nostri vecchi telefonini e delle nostre vecchie tivù, tanto voi sciocchini vi comprate tutto pur di cercare di essere come noi. Già che c'eravamo, abbiamo usato i vostri Paesi come discarica dei nostri prodotti elettronici ormai inutilizzabili, quelli che nemmeno voi potevate usare. Pensate che curiosa, la vita di un nostro accrocco digitale: inizia grazie al coltan per cui vi ammazzate nelle vostre miniere e finisce bruciando tra gas cancerogeni nelle vostre discariche; in mezzo ci siamo noi che intanto ci siamo divertiti o magari abbiamo scritto post come questo. Insomma, ragazzi, siete nella merda fino al collo e ci siete da tre-quattrocento anni, ma a noi di avere avuto qualche ruolo in questa merda non importa proprio niente, non abbiamo voglia di pensarci e abbiamo altro da fare. Negli ultimi tempi poi, con questa storia dei televisori, dei computer e delle parabole satellitari, purtroppo siete cascati in un altro increscioso equivoco, e cioè vi siete messi in testa che qui in Europa si sta meglio: ma come fa a venirvi in mente che vivere in una casa con l'acqua corrente e l'elettricità sia meglio di stare in mezzo al fango e tra quattro pareti di lamiera ondulata? Bah, che strani che siete. Anche questa cosa che avere un ospedale è meglio che morire di parto, o che uscire di casa a prendere un autobus sia meglio che uscire di casa e prendere una mina, o che mangiare tre volte al giorno sia meglio che morire di dissenteria per malnutrizione, che noia, mamma mia. Così alcuni di voi, di solito i più sfigati, hanno iniziato a lasciare la baracca e le bombe per attraversare prima il deserto poi il mare e venire qui a rompere i coglioni a noi. D'accordo, quelli che lo fanno alla fine sono poche decine di migliaia rispetto a oltre un miliardo di voi, perché non a tutti piace l'idea di morire nella sabbia o in acqua, e gli emigranti sono pochini anche rispetto a noi, che siamo mezzo miliardo, ma insomma, ve lo dobbiamo dire: ci stanno sui coglioni lo stesso e quindi non li vogliamo, perciò abbiamo deciso che devono tornare nel buco di culo di posto da cui vengono, anche se lì c'è la guerra, la fame, la malaria e tutto il resto di quelle cose lì. Tanto più che quelli che vengono qui mica stanno sempre bene, alcuni hanno pure la scabbia, e a noi non è che ci interessa perché hanno la scabbia, ci interessa che non vengano qui, è chiaro? Concludendo, con tutta l'amicizia e senza nessun razzismo - ci mancherebbe, noi non siamo razzisti - dovreste gentilmente stare fuori dalle palle e vivere tutta la vita nell'inferno che vi abbiamo creato. E se fate i bravi, un lavoro in un cantiere di Addis o in una miniera di Mbomou per due dollari al giorno potete anche trovarlo, con un po' di culo, purché naturalmente a quella cifra lavoriate dieci ore dal lunedì al sabato a chiamata giornaliera, e non diciate troppo in giro quanta gente ci schiatta ogni giorno. Se poi trasportate sacchi anche la domenica full time vi diamo qualcosa di più, così magari tra un po' potete comprarvi un altro nostro televisore di scarto, però - mi raccomando - da usare lì, nella baracca piena di merda di capra in cui vivete. Contenti? (A.G.)

sabato 13 giugno 2015

Pessimi genitori gli ex-sessantottini.....se hanno prodotto i giovani renziani !

Pessimi genitori gli ex-sessantottini ....se hanno prodotto i giovani renziani! "Ma chi sono i genitori che hanno prodotto i renziani? Sono quelli che da un’idea di lotta di classe sono passati ad un’idea generica di lotta contro ogni tipo di autorità, da un’idea di collettività ad una liberale idea di autorealizzazione dell’individuo, e un anelito confuso quanto bruciante verso un concetto totalizzante, e quindi in realtà regressivo, della libertà. Tutto ciò spesso, diciamolo pure, ha fatto di loro dei pessimi genitori, incapaci, in nome della responsabilità familiare, di resistere alle tante tentazioni della società liberista e liberalizzata degli ultimi trent’anni. E nella loro vita professionale molti di loro(certo....con le dovute eccezioni ) sono diventati dei pescecani assetati di successo e denaro, come veicoli per ottenere l’agognata liberazione personale. Hanno insegnato ai loro figli che il concetto di sinistra non è una visione del mondo ed un impegno militante, ma è un “mood”, un sentimento o un atteggiamento, basato sui principi di quella sinistra sessantottina: un pacifismo di maniera, l’idea della libertà personale (che è l’esatto contrario della liberazione sociale che la sinistra cerca di ottenere) tramite l’autorealizzazione dell’individuo, che, per essere tale, deve collocarsi in una società a due dimensioni: i diritti civili e le opportunità personali. Quindi per i giovani renziani è naturale pensare che una società di sinistra sia una società che deve crescere economicamente, per generare le opportunità, e che quindi deve essere efficiente, e la competizione rappresenta l’incentivo all’efficienza. Ed al contempo deve massimizzare i diritti, per consentire a tutti di avere un canale di autorealizzazione personale. Non li sfiora,(e non li può sfiorare perché non sono stati educati a pensare così) una visione collettiva e strutturale, che antepone alle libertà formali ed a quelle individuali la liberazione collettiva dallo sfruttamento, dalla fame, dalla miseria, dall’ignoranza, dalla non identificazione data dalla disoccupazione o dalla precarietà esistenziale. Tutte queste cose li infastidiscono, sfrugugliano quella coscienza che da sempre hanno represso. Ma perché ti lamenti se sei povero, se sei disoccupato, se sei precario? Io ti do le opportunità di uscire dal tuo stato. Eccoti la borsa di studio per laurearti se sei meritevole, e l’Erasmus per cercarti una sistemazione all’estero. Tò: beccati anche il tirocinio formativo in azienda (gratis). Se poi non ce la fai, allora è colpa tua. Non capiscono il nesso fra la religione dell’opportunità meritocratica e l’individualismo metodologico che distrugge i legami sociali ed umani. Non capiscono che l’opportunità, la libertà individuale, il diritto personale, hanno un senso in una società dove si è prodotta la liberazione sostanziale dallo sfruttamento materiale, altrimenti sono orpelli che si indossano per nascondere la povertà, l’angoscia, l’impotenza. Nessuno glielo ha insegnato. Finirà questa fase, molti di loro saranno stati soltanto usati, e finiranno per essere dei dropout, questa è la verità. Ed essendo cresciuti in una religione di benessere materiale, non riusciranno a vivere senza lo smartphone, o le vacanze a Sharm El Sheik".

venerdì 12 giugno 2015

I poveri? Stiano al loro posto!

I poveri? Stiano al loro posto! Il decoro e il disturbo. "I poveri per essere meritevoli devono comportarsi bene e stare al loro posto, a casa loro (e se stranieri nel proprio paese) o nei luoghi loro dedicati: mense, luoghi di distribuzione del cibo e vestiario, ricoveri, sale d’attesa dei servizi sociali. Soprattutto devono rimanere invisibili. Alla stesso tempo devono darsi da fare, mostrare che non si adagiano nella loro condizione, attivarsi, ma senza cogliere e infrangere le norme". Il passaggio è di Chiara Saraceno. Spiega bene cosa si nasconde dietro campagne sul decoro delle nostre città e sul disturbo che avvertiamo quando li vediamo i poveri, i diversi. Il razzismo è questione articolata e pericolosa. Parla alla nostra paura di essere invisibili, di ritrovarci poveri, diversi. Per questo in periodi di crisi i razzisti hanno terreno facile. Combattere la povertà, non i poveri è l'antidoto al razzismo.(E.L.M.)

lunedì 8 giugno 2015

Versi sottili come righe di pioggia

Versi sottili come righe di pioggia Bisogna condannare severamente chi creda nei buoni sentimenti e nelI’innocenza. Bisogna condannare altrettanto severamente chi ami il sottoproletariato privo di coscienza di classe. Bisogna condannare con la massima severità chi ascolti in sé e esprima i sentimenti oscuri e scandalosi. Queste parole di condanna hanno cominciato a risuonare nel cuore degli Anni Cinquanta e hanno continuato fino a oggi. Frattanto l’innocenza, che effettivamente c’era, ha cominciato a perdersi in corruzioni, abiure e nevrosi. Frattanto il sottoproletariato, che effettivamente esisteva, ha finito col diventare una riserva della piccola borghesia. Frattanto i sentimenti ch’erano per loro natura oscuri sono stati investiti nel rimpianto delle occasioni perdute. Naturalmente, chi condannava non si è accorto di tutto ciò: egli continua a ridere dell’innocenza, a disinteressarsi del sottoproletariato e a dichiarare i sentimenti reazionari. Continua a andare da casa all’ufficio, dall’ufficio a casa, oppure a insegnare letteratura: è felice del progressismo che gli fa sembrare sacrosanto il dover insegnare al domestico l’alfabeto delle scuole borghesi. È felice del laicismo per cui è più che naturale che i poveri abbiano casa macchina e tutto il resto. È felice della razionalità che gli fa praticare un antifascismo gratificante ed eletto, e soprattutto molto popolare. Che tutto questo sia banale non gli passa neanche per la testa: infatti, che sia così o che non sia così, a lui non viene in tasca niente. Parla, qui, un misero e impotente Socrate che sa pensare e non filosofare, il quale ha tuttavia l’orgoglio non solo d’essere intenditore (il più esposto e negletto) dei cambiamenti storici, ma anche di esserne direttamente e disperatamente interessato. (Pier Paolo Pasolini)

La gente che mi piace !

La gente che mi piace Mi piace la gente che vibra, che non devi continuamente sollecitare e alla quale non c’è bisogno di dire cosa fare perché sa quello che bisogna fare e lo fa in meno tempo di quanto sperato. Mi piace la gente che sa misurare le conseguenze delle proprie azioni, la gente che non lascia le soluzioni al caso. Mi piace la gente giusta e rigorosa, sia con gli altri che con se stessa, purché non perda di vista che siamo umani e che possiamo sbagliare. Mi piace la gente che pensa che il lavoro in equipe, fra amici, è più produttivo dei caotici sforzi individuali. Mi piace la gente che conosce l’importanza dell’allegria. Mi piace la gente sincera e franca, capace di opporsi con argomenti sereni e ragionevoli Mi piace la gente di buon senso, quella che non manda giù tutto, quella che non si vergogna di riconoscere che non sa qualcosa o si è sbagliata Mi piace la gente che, nell’accettare i suoi errori, si sforza genuinamente di non ripeterli. Mi piace la gente capace di criticarmi costruttivamente e a viso aperto: questi li chiamo “i miei amici”. Mi piace la gente fedele e caparbia, che non si scoraggia quando si tratta di perseguire traguardi e idee. Mi piace la gente che lavora per dei risultati. Con gente come questa mi impegno a qualsiasi impresa, giacché per il solo fatto di averla al mio fianco mi considero ben ricompensato. (M.B.)

giovedì 4 giugno 2015

L' OLOCAUSTO DI UN POPOLO "DIVERSO" CAP.1.........MA CHI SONO I ROM ?

Ci sono molte leggende e luoghi comuni che circondano gli zingari, una popolazione di origine antichissima che ha però sempre avuto difficoltà nell'integrarsi nei Paesi in cui vivono. Come mai c'è questo odio nei loro confronti? Come vivono gli zingari? Da dove vengono? In quante etnie si dividono? Ecco un quadro completo su uno dei popoli più controversi della storia. Iniziamo dall'origine: la loro provenienza. Spesso si pensa che i rom provengano dalla Romania, ma in realtà hanno origini in una regione che si trova tra l'India e il Pakistan, ammesso che provengano tutti da un unico luogo. Le etnie zingare sono infatti tantissime: sinti, rom, romanichais, kalè o pavee, ed è difficile dire con certezza se provengono tutte da un unico territorio. Tuttavia, pare ormai approvata la teoria che vede il popolo zingaro provenire dal sub-continente indiano per via delle similitudini linguistiche, le caratteristiche somatiche e grazie anche a documenti antichissimi che ne testimoniano la presenza. Ad esempio, la parola "rom" deriva dal termine in sanscrito (un'antica lingua indiana) "domba" che significa "uomo libero"; oppure il termine "sinto" deriva da "Sindh", il nome del fiume Indro, il più lungo del Pakistan. Bisogna però specificare che, essendo un popolo storicamente portato all'emigrazione, non possiamo parlare di una vera e propria patria d'origine, ma più che altro di luoghi in cui hanno soggiornato per un periodo storico più o meno lungo. Dalla regione indo-pakistana, nell'XI secolo gli zingari si sono spostati seguendo l'Indro, il Tigri, l'Eufrate, il Danubio, l'Elba, il Reno e il Rodano. Le cause di questi spostamenti di massa rimangono sconosciute, anche perché, altro fattore di non poco conto, le testimonianze su questo popolo si trasmettono per via orale ed è dunque molto facile che la realtà dei fatti diventi leggenda, o peggio, pura finzione. Tuttavia, gli studiosi sono concordi nell'attribuire la causa di questa emigrazione alle devastanti invasioni del re afghano Mahmud di Ghazna. Giunti prima in Iran e poi in Persia, gli zingari raggiunsero l'Armenia e il Caucaso meridionale, zone di influenza bizantina. Da lì a poco arrivarono in Turchia per giungere nei Balcani, dove si stabilirono definitivamente. È probabilmente da attribuirsi a questa lunga permanenza la credenza popolare che vede gli zingari provenire dai Paesi balcanici. Nei Balcani, gli zingari cominciarono a praticare mestieri che ancora oggi fanno: fabbri, maniscalchi, ferrai, esperti nella lavorazione del metallo, costruttori di armi, ma divennero anche ricercatori d'oro in Transilvania, o importanti musicisti in Ungheria, dove entrarono letteralmente a far parte del folklore locale, soprattutto per i brani eseguiti con il violino. Tra il XIV e il XV secolo, gli zingari giunsero in Europa occidentale e, in seguito alla battaglia del Kosovo del 1392, dove l'impero ottomano sconfisse l'esercito serbo-cristiano sancendo l'influenza islamica nel territorio, i gitani raggiunsero anche l'Italia seguendo i profughi croati, kosovari, albanesi e greci. Viaggiavano in gruppo, spesso spacciandosi per gente facoltosa proveniente dall'Egitto. Una falsità che però è entrata talmente tanto nell'immaginario collettivo che ancora oggi gli zingari vengono chiamati in Spagna "gitanos" (dal latino "aegyptanus", derivazione di "Aegyptus", cioè "Egitto"), o nel Regno Unito "gypsies". La convivenza con gli europei fu drammatica. A causa del loro abbigliamento bizzarro, della lingua incomprensibile, del loro vivere di elemosina e per le pratiche di chiaroveggenza, spesso scambiata per stregoneria, le autorità locali emanarono una serie di decreti che penalizzavano e discriminavano la popolazione. In Germania, per esempio, la pena di morte, normalmente riservata agli uomini, venne estesa anche alle donne zingare, oppure, nel 1500, ci fu un provvedimento imperiale che garantiva l'impunità a chiunque avesse ucciso uno di loro. Non andò meglio in Moldavia o in Valacchia, dove divennero servi della gleba. In Spagna, nel 1492 furono condannati all'esilio assieme ai mori e agli ebrei. In Ungheria furono accusati di cannibalismo. In Italia, il primo decreto di espulsione fu emanato a Milano nel 1512 perché accusati di portare la peste. Insomma, il ripudio e l'odio nei confronti di questa popolazione hanno origini antiche. Le persecuzioni ebbero fine intorno al XVIII secolo, quando i sovrani illuminati piuttosto che condannarli a morte o all'esilio, cercarono di integrarli con la popolazione del luogo. Questo però significava spogliarli delle loro tradizioni e delle loro usanze. Ad esempio, in Ungheria e Transilvania, dove ormai vivevano da secoli in base alla loro cultura, furono obbligati ad abbandonare la loro lingua per esprimersi esclusivamente nella lingua nazionale. Inoltre, dovevano rinunciare alla loro vita nomade per stabilirsi in appartamenti, esercitare mestieri comuni, non mendicare, andare in chiesa e vestirsi come la popolazione locale. In cambio, il governo distribuiva case, mezzi agricoli e bestiame. L'iniziativa ovviamente fallì. Abbandonata questa finta filantropia, i diversi Paesi divennero via via più liberali nei loro confronti, tant'è che in Romania, tra il 1855 e il 1856, vennero liberati dalla schiavitù. Da lì in poi, cominciò un'altra ondata migratoria che coinvolse non solo l'Europa, ma anche l'America, Brasile e Argentina in primis. Tuttavia, dato lo storico odio nei loro confronti, era inevitabile che finissero nel mirino dei nazisti. Circa 500mila morirono in quello che gli zingari chiamano "barò porrajmos", che in lingua romanì significa "il grande genocidio". Considerati non solo come una razza inferiore, ma anche come degli "asociali", i gitani erano talmente discriminati tra i discriminati che ad Auschwitz vivevano in baracche a loro riservate. Oggi gli zingari in Europa si aggirano intorno ai 10-12 milioni. In Paesi come Romania, Slovacchia, Turchia, Bulgaria e Serbia raggiungono il 5 per cento della popolazione. Tuttavia, è Bucarest ad ospitare il maggior numero di gitani in Europa. I dati sugli zingari in Italia sono piuttosto confusi, tra chi parla persino di 200mila e chi di appena 80mila. Circa l'80 per cento di loro ha la cittadinanza italiana e appena il 20 per cento sarebbe straniero e proveniente per lo più dai Balcani. I due più grandi ceppi si dividono in rom e sinti. I primi si sono insediati soprattutto nell'Italia centro-meridionale, mentre i secondi nel Nord. I sinti storicamente esercitano il mestiere di giostrai (per esempio, Moira Orfei e la sua famiglia sono di origine sinti), ma dato che si tratta di un lavoro "in via di estinzione" si stanno reinventando rottamatori o venditori. Entrambi, sia sinti che rom, sono per lo più cattolici. Difatti, le popolazioni zingare tendono ad adottare la religione del luogo in cui vivono. Questo fa sì che in Italia, ben il 75 per cento di loro è cattolico, il 20 per cento musulmano e il 5 per cento raggruppa ortodossi, pentecostali e testimoni di Geova. Si tratta di un popolo piuttosto giovane: circa la metà di loro non supera i 18 anni e appena il 3 per cento arriva a oltre i 60. Il tasso di natalità è alto (5-6 bambini a famiglia), così come lo è quello di mortalità. Il matrimonio, in genere, avviene in giovane età ed è regolato da usanze e tradizioni che variano in base all'etnia di appartenenza. Difatti, per i sinti avviene tramite la fuga, cioè i due ragazzi vivono per qualche giorno da alcuni parenti; mentre per i rom la famiglia dello sposo "compra" la sposa, cioè corrisponde una cifra in denaro alla famiglia della giovane come una sorta di risarcimento. Ad ogni modo i matrimoni non sono regolati da rigide norme sociali, tant'è che possono sposarsi anche persone appartenenti ad etnie diverse. A differenza di quanto si pensi, non tutti sono nomadi, anzi. Molti vivono in appartamenti e perfettamente integrati con la comunità locale, soprattutto da quando le loro storiche professioni, che li portavano a girovagare continuamente, stanno venendo meno. Ma il pregiudizio rimane, tant'è che nel rapporto sull'Italia della Commissione europea contro il Razzismo e l'Intolleranza (Ecri), Bruxelles ha invitato Roma ad abbandonare "il falso presupposto che rom e sinti siano nomadi" dato che, in base a tale idea, viene attuata "una politica di segregazione dal resto della società" con l'installazione dei "campi nomadi" nati per ospitare solo temporaneamente queste popolazioni e spesso sforniti dei servizi più basilari. Ma non è solo l'Italia a guardare con disprezzo gli zingari. Anche negli altri Paesi i pregiudizi e la discriminazione persistono, sintomo che le credenze che si sono trascinate per secoli sono dure a morire.

mercoledì 3 giugno 2015

LO SAPPIAMO TUTTI.....ANCHE SE QUALCUNO SE LO SCORDA !!!

Lo sappiamo tutti...anche se qualcuno se lo scorda! Sono sicuro che Hitler, mentre faceva la cacca, aveva una faccia uguale alla mia. Sono sicuro che Mussolini, se avesse avuto la playstation, avrebbe giocato a FIFA 14. Sono sicuro che Kesselring avrebbe potuto amare Sorrentino come lo amo io, oppure ridere durante il Roberto Benigni di 'Berlinguer ti voglio bene'. E penso anche che quando qualcuno di questi la mattina si svegliava e diceva 'buongiorno mamma', ecco, penso che avesse un'intonazione simile alla mia. Perché se sei un criminale, anche il peggiore del mondo, non ce l'hai scritto in faccia, e spesso non hai neanche una faccia brutta, perché lo sappiamo tutti, anche se qualcuno ogni tanto se lo scorda, Lombroso era un bischero. E' tutto questo che mi fa paura, e ogni tanto ci penso. E oggi mi ci ha fatto pensare la comunità ebraica, che ha anticipato l'uscita di un'inchiesta sul 16 ottobre 1943, il giorno del rastrellamento del Ghetto. Sapete chi furono i delatori? Gente comune. Qualcuno più organizzato arrivò a fingersi avvocato nelle carceri per convincere i prigionieri a fornire gli indirizzi dove si nascondevano i parenti, ma i delatori furono soprattutto persone comuni, desiderose di intascare due lire o semplicemente contribuire alle richieste del potere. Furono dunque maggiori i cosiddetti casi isolati, ex fidanzati, vicini di casa, portieri di palazzo. Addirittura una donna ebrea che fece arrestare i suoi familiari. La banalità del male di Hannah Arendt, dopotutto. La ruspa contro i poveracci e il tappeto rosso per i delinquenti, però con la cravatta. I tedeschi guidati da Kappler avevano anche fissato il prezzo degli ebrei: consegnare un uomo valeva 5 mila lire, una donna 3 mila, un bimbo 1.500. Oggi qualcuno preferirebbe risparmiare i 33 euro al giorno che lo Stato passa alle strutture convenzionate per il rifugio dei richiedenti asilo. La banalità del male, di nuovo. (S.T.)