martedì 29 settembre 2015

MI STA A CUORE: Sì....possiamo crescere tutti.....come funamboli d...

MI STA A CUORE: Sì....possiamo crescere tutti.....come funamboli d...: "In giorni in cui, come sulla frontiera americana, nuovi muri minacciano di dividere l’Europa, il confine è chiaro quanto i suoi scop...

lunedì 28 settembre 2015

Invasione? Ma di cosa stiamo parlando ?

Si cominci, in primo luogo, a guardare i migranti come persone con storie di vita e progetti personali senza incasellarli in categorie generiche e disumanizzanti. Si dice “C’è un’invasione” ! Dall’inizio del 2015, secondo i dati dell’UNHCR, sono sbarcate in Italia 121mila persone (di cui il 78% uomini, il 12% donne e il 10% bambini). Una cifra che corrisponde allo 0,2% della popolazione italiana. Mario Morcone, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, intervistato da Redattore sociale, ha spiegato che, proprio basandosi su questi numeri, parlare di emergenza o invasione è sbagliato, aggiungendo inoltre:" Per quanto riguarda gli arrivi i numeri sono esattamente gli stessi dell’anno scorso, ci saranno mille, duemila persone in più, quindi probabilmente arriveremo a fine anno con un bilancio di circa 180mila, 170mila persone sbarcate, in linea […] con la pianificazione che come ministero avevamo già fatto". Altro dato da considerare è che gran parte delle persone arrivate in Italia non resta ma continua il proprio viaggio (anche dentro le maglie delle organizzazioni di trafficanti di essere umani) verso il Nord-Europa. Nel 2014, su 170mila arrivi, solo in 66mila hanno fatto richiesta di asilo. Attualmente in Italia, nei centri di accoglienza, ha spiegato il ministro dell’Interno, «ci sono 95mila migranti», cioè lo 0,16% della popolazione italiana. Comparando, inoltre, le richieste accettate dallo Stato italiano con quelle degli altri paesi Europei e nel mondo, l’UNHCR specifica che «il numero di rifugiati accolti dall’Italia rimane modesto». Nel vecchio continente nel 2014 si è registrata la quota record di 626mila richieste d’asilo, ma il nostro paese in media, scrive l’agenzia delle Nazioni Unite, «accoglie un rifugiato ogni mille persone, ben al di sotto della Svezia, con più di 11 rifugiati ogni mille, la Francia (3,5 ogni mille) e della media europea (1,2 ogni mille). In Medio Oriente, il Libano, al confine con la Siria, accoglie circa 1,2 milioni di rifugiati, pari a un quarto della popolazione del paese». A livello mondiale l’86% dei rifugiati del mondo trova accoglienza nei paesi vicini a quelli di fuga. Come sottolinea l’ultimo rapporto sulla protezione internazionale del 2014 – di Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo per rifugiati), Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani), UNHCR, Caritas e fondazione Migrantes –, Pakistan, Etiopia, Sud Sudan e Kenya hanno da soli provveduto a dare asilo a 2,8 milioni di rifugiati, corrispondenti al 24% del totale mondiale, mentre in Europa arriva meno del 10% dei richiedenti asilo. Scrive, inoltre, Davide Mancino su Wired che «i dati dell’ultimo rapporto sulle migrazioni internazionali dell’OCSE, aggiornati al 2012, mostrano che in Italia la percentuale di stranieri è al 9,4% – più bassa che in Francia o nel Regno Unito !

sabato 26 settembre 2015

In Italia......abbiamo bisogno degli stranieri !

Questo è il punto ! Abbiamo bisogno degli stranieri almeno quanto gli stranieri hanno bisogno di noi. Ne abbiamo bisogno non solo sotto il profilo economico e demografico, ma anche sotto quello culturale e spirituale, per evitare che la società italiana si riduca a una sorta di comunità Amish, chiusa in se stessa e destinata all'infertilità e all'esaurimento. Questo è il punto cruciale.

venerdì 25 settembre 2015

Io t'ho inventata !

Tu eri già il progetto mio ho saputo aspettare la luna tra disillusioni e tanta speranza, poi ecco io t'ho inventata ! Nella rossa terra dal lungo torpore recalcitrava impaziente la primavera quando anche tu sei arrivata dal mare e dalla vigna prosperosa recandomi i tuoi frutti maturi, i doni pingui della tua esistenza, oggi non trovo più il tempo per carezzare i tuoi biondi capelli ma il sole caldo della tua dolcezza ritempra le fatiche e i turbamenti nel letto della tua sorgente eterna !

No.......non mi piace !

Non mi piace il ritualismo natalizio, ha il sapore del già visto ! Non mi piace il buon Natale che ignora l'abbraccio ! Non mi piace quel posto a tavola riservato solo a Natale al clochard e all'immigrato... mi sa tanto....di rimorso ! Non mi piace l'elenco delle promesse universali, dei buoni propositi già cancellati a S.Stefano dal registro dei nostri programmi ! Mi piace il Natale ...di ogni giorno, quello che è pane quotidiano della nostra esistenza e di chi abita questo nostro pianeta, il Natale della quotidiana condivisione, quello della quotidiana comunione, quello dell'universale riconoscimento dei diritti di ogni essere vivente! Mi piace l'Avvento ....il tempo dell'attesa di un Natale senza fronzoli, di un Natale vero...quello che non c'è !

mercoledì 23 settembre 2015

IL MASSACRO DI ITRI- 1911

911 - FUORI I SARDEGNOLI - IL MASSACRO DI ITRI Grazie al prezioso lavoro dello storico Professor Tonino Budruni che ha ricostruito minuziosamente nella «Rivista della Sardegna» Ichnusa n.10, maggio/giugno, anno 5 del 1986, oggi siamo a conoscenza dei «Giorni del massacro ». Era il 1911, anno in cui molti sardi riponevano nell’emigrazione la speranza di una vita migliore, la quale palpitava, fiduciosa e intrepida, sul posto di lavoro. Tuttavia, nel luglio di quell’anno per quattrocento figli della Sardegna, il sogno si frantumò nel suolo italico in una realtà di persecuzione e d’orrore. Essere sardo e per questo pagarne il prezzo, subirne il razzismo di persona, sperimentarlo sulla propria pelle fu un’esperienza, purtroppo, di molti di questi nostri conterranei. Nella storia che segue vedremo la xenofobia antisarda manifestarsi in tutta la sua animale violenza contro quei lavoratori «diversi». Erano anni di progresso tecnologico in cui la ferrovia ne rispecchiava il mito, attraversandone l’Italia. A costruire le migliaia di chilometri di linee ferroviarie, altrettante migliaia di braccia. E fu così che circa mille sardi, quasi tutti minatori del sud Sardegna, furono impiegati per la costruzione della linea Roma – Napoli. Assumere sardi era allora conveniente, poiché lavoravano sodo, in cambio, a parità di mansione, di un salario inferiore a quello degli operai continentali, loro colleghi. Quattrocento operai isolani, furono, quindi, stanziati temporaneamente nel comune di Itri, all’epoca in provincia di Caserta e oggi di Latina, ossia nella cosiddetta: «Terra di lavoro». Gli abitanti di Itri, però, fomentati e spalleggiati indirettamente dai mass – media italiani che descrivevano i sardi come una «razza inferiore e delinquente per natura», sollevavano pregiudizi razzisti contro i sardi. A servirsi di questa opinione diffusa e consolidata in una costante tensione sociale fu la camorra, nel momento in cui la sua autorità fu sconfitta dagli involontari rappresentanti del Popolo Sardo, la quale riuscì a trasformare tale convinzione in sentimento di odio sanguinario antisardo. L’organizzazione criminale, alla quale interessava solo il denaro, che ruolo e quali interessi poteva nutrire in questo scontro di culture? La risposta è semplice e nello stesso tempo terrificante: ai lavoratori sardi si voleva imporre il cosiddetto «pizzo». Ma alla camorra, che assumeva la posizione del «padrone», si contrapponeva il netto rifiuto, pacifico ma fermo, di quei baldi lavoratori di pagare. Questa decisione fu presa, sia per l’innata fierezza della cultura «De s’omine», sia per la matura coscienza dei diritti loro spettanti, anche se non ancora conquistati, in quanto lavoratori. I criminali, quindi, per scongiurare il contagio di tale rivoluzione, puntarono sugli anzidetti sentimenti degli itrani (cosi si fanno chiamare gli itriesi) per cacciare i sardi da «Terra di lavoro». La furia fanatica razzista, organizzata minuziosamente, si compì tragicamente nei giorni di mercoledì e giovedì 12 e 13 luglio del 1911. Al grido: «Morte ai sardegnoli», i nostri antenati furono, per quei due giorni, le prede indifese della «caccia al sardo». Nel primo giorno un gruppo di operai fu insultato e provocato nella piazza dell’Incoronazione, l’epicentro della storia. Al grido «Fuori i sardegnoli», la parola d’ordine per richiamare gli itrani in quel luogo, a centinaia accorsero armati, attaccando da ogni parte i nostri conterranei inermi. In una ridda di sorpresa, di urla, anche le autorità locali aprivano il fuoco promettendo immunità ai compaesani, non di meno fecero i carabinieri, i quali spararono sui sardi in fuga. Quel giorno, il selciato italico s’impregnò del primo sangue dei martiri trucidati barbaramente. Gli operai scampati alla persecuzione xenofoba si rifugiarono intanto nelle campagne circostanti. L’indomani, i lavoratori rientrarono nel paese per raccogliere i loro fratelli caduti come soldati in guerra, ma la «fratellanza operaia», «la pietà cristiana», si evidenziarono utopiche mete. Entrarono nell’abitato e nuovamente divampò la triste sinfonia di morte col grido di battaglia: «Fuori i sardegnoli». Gli itrani convergendo in massa, passarono prima in una bottega, nella quale si distribuivano armi per l’occasione. Qui si avvertiva: «Prendete le armi e uccidete i sardi». La seconda giornata di caccia all’«animale sardo» era aperta! Gli itrani, ancora accecati dall’odio razzista e non contenti del sangue già versato, si scagliarono nuovamente contro i lavoratori sardi inermi e, con più raziocinio criminale del giorno prima, ancora ammazzarono. In queste due giornate furono massacrate una decina di persone, tutte sarde. Il numero esatto delle vittime non si venne mai a sapere, poiché gli itrani trafugarono numerosi cadaveri e feriti moribondi per nascondere il numero esatto delle vittime. Alcuni operai sequestrati subirono la tortura e una sessantina furono i feriti, di cui, diversi, molto gravi, perirono in seguito. Molti sardi scampati alla strage furono arrestati con la falsa accusa di essere rissosi. Mentre, altri, per la stessa accusa, furono espulsi da quella «terra del lavoro» e rispediti in Sardegna. Pagarono caro il prezzo della loro provenienza e cultura, ma la camorra, da quei fieri sardi, non vide neppure un soldo. Per questi fatti non un itriano fu punito. E il grave avvenimento fu subito occultato. L’avvocato Guido Aroca scrisse: «Se alcunché di simile si fosse verificato ai danni siciliani o romagnoli, l’Italia tutta sarebbe oggi in fiamme». Dopo quei giorni dolorosi, i sardi, per il tornaconto bellico italiano del ’15 ’18, diventeranno la «razza guerriera ed eroica» che salvò le sorti dell’Italia. Divulgare oggi questa storia, è, innanzitutto, un dovere verso quei martiri antesignani della lotta sindacale, ma, altresì insegna a riconoscere e denunciare forme attuali di razzismo mascherate con il belletto, le quali si configurano nella moderna forma di colonizzazione politica e culturale. Il sacrificio dei nostri antenati non ha avuto giustizia e in continente si sostiene ancora che «I sardegnoli se la son cercata». A distanza di anni da quei fatti, la forma mentis ferocemente antisarda è stata dichiarata lucidamente dallo stesso «Stato di diritto» italiano, nel momento in cui, con tracotanza, istituzionalizzò il proprio pregiudizio e razzismo contro i sardi (e solo contro i sardi) emigrati in s’Italia, con una schedatura poliziesca di uomini, donne, vecchi e bambini. La registrazione ebbe inizio nel 1984, all’insaputa degli stessi sardi, con la regione Lazio per poi essere estesa ad altre regioni fino ad una data incerta degli anni ’90. Frantz Fanon aveva pienamente ragione: «Un Paese colonialista è un Paese razzista!». I sardi, per un complesso di colpa indotto da anni di colonizzazione culturale, accettarono passivamente di essere considerati, nel loro insieme e capillarmente, potenziali criminali.

lunedì 21 settembre 2015

Ecco come si delegittima il dissenso !

Ecco a voi.....la delegittimazione del dissenso ! Viene da chiedersi.....ma di cosa si nutre l'egemonia culturale, costruita in questi trent' anni a livello mondiale, della destra, o meglio, del pensiero individualista - liberista? Di tantissime cose naturalmente........si potrebbe anche scrivere un trattato. Mi piace ricordarne tuttavia una....... quella sorta di decisionismo qualunquista, demagogico,quello del fare fine a se stesso, che dà sempre ragione a chi comanda .Questo decisionismo utilizza sempre frasi come: "almeno lui fa qualcosa" , "meglio fare che stare fermi", "ah ...questa opposizione che ama perdere tempo".Sono espressioni che nascondono concetti generici .....inutili, ma spesso molto radicati nel comune sentire, con lo scopo di rafforzare il consenso per chi governa, in maniera automatica, perchè oggi sempre di più, solo chi è al governo può fare qualcosa, mentre agli altri, a volte,è negato anche il tempo per controbattere. In definitiva....si afferma sempre più......una sorta di violenza psicologica, la delegittimazione del dissenso a priori e in quanto tale !

LUI....LE PERSONE LE VEDE ANCORA!

È andato lì. Dall’altra parte del mondo. Con la sua andatura goffa, la sua borsa nera, il suo sorriso da parroco di campagna. E al leader dei leader, ormai anziano, ha detto: bisogna servire non le ideologie ma le persone. Come dire: sei stato bravo ma a un certo punto hai strafatto. Hai seguito l’idea e non il volto. E lui, Francesco, che tra i due grandi nemici ci ha messo la buona parola per fermare quello che in nome delle reciproche ideologie stava generando ancora sofferenza tra le gente, se lo è potuto permettere perché non è un ideologo. Le persone le vede ancora. Nonostante sia al vertice del potere ecclesiale in terra, lui che gode anche del potere divino dell’infallibilità, ha le scarpe consumate e non lucide. Quindi caro Fidel, Francesco, il Papa in persona, non ha fatto un favore né a te né a Obama. Semplicemente ha scelto di schierarsi con altri: il popolo, la gente. Le persone. Dipende, quando hai potere, tanto potere, a servizio di chi intendi metterlo: l’idea, il principio o la loro incarnazione nella vita delle persone? Ovviamente vale per Fidel, per Obama e per ognuno di noi. In fondo il piccolo orto dove agire il nostro potere lo abbiamo tutti. (E.L.M. )

domenica 20 settembre 2015

La gioia....di un solo attimo...

La felicità ?Forse non è di questo mondo......ma la gioia...... anche di un solo attimo...quella sì.....appartiene a questo mondo e compensa ampiamente la sofferenza e il dolore nella nostra esistenza !

Buon dialogo!

La lettura ha incespicato in una domanda: ‘Come può accadere che un gruppo di dirigenti con indici individuali d’intelligenza superiore a 120, abbia un indice collettivo di 63?’. La risposta qualche rigo più in là: ‘la disciplina dell’apprendimento di gruppo inizia con il dialogo, la capacità dei membri del gruppo di mettere in mora le ipotesi e passare a un genuino ‘pensare comune’. E ancora: ‘è interessante notare come la pratica del dialogo si è preservata in molte culture primitive ma è quasi completamente perduta nella società moderna’. Ecco un sincero augurio agli insegnanti: coltivare la pratica del dialogo, investire sul gruppo e sulla sua possibilità di potenziare e non ridurre le intelligenze e le capacità di ognuno. Se cresce il gruppo, l’indice collettivo del gruppo, cresce anche ogni singola persona. Cresce soprattutto il pensare comune Le piccole rivoluzioni sociali cominciano quando la classe scopre i legami e diventa gruppo. Che sia un anno di legami rivoluzionari per ognuno !

Benedetta.....curiosità !

La curiosità facilita l’apprendimento, e non solo dell’argomento che l’ha stimolata, ma anche di informazioni del tutto diverse ma che appaiono in un lasso di tempo più o meno concomitante. A dimostrarlo è stato un gruppo di neuroscienziati e di psicologi dell’Università della California. Insegnanti ed esperti di didattica sanno bene che chi nutre un interesse spontaneo per un argomento lo impara e lo padroneggia meglio di chi non è interessato o è spinto da una motivazione secondaria, come prendere un bel voto o evitarne uno brutto. I meccanismi alla base di questo fenomeno non erano però noti. “La curiosità può mettere il cervello in uno stato che permette di imparare e conservare qualsiasi tipo di informazione, come un vortice che risucchia all’interno di ciò che si è motivati a imparare anche tutto quello che c’è intorno”, spiega Matthias J. Gruber, primo firmatario dell’articolo pubblicato su “Neuron” in cui è descritta la ricerca.

sabato 19 settembre 2015

Ma perchè sentirsi indispensabili ?

“La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile?Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quali alcune forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfrLc 12,13-21), e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc17,10)”.(R.D'AM.)

giovedì 17 settembre 2015

L'Europa? Un arcipelago di reciproci apartheid !

Nel giro di un’estate gli europei hanno assestato alla loro presunta casa comune una sequenza di colpi micidiali. Prima con la crisi greca, quando ci siamo divisi lungo la faglia Nord-Sud, ovvero “formiche” contro “cicale”, spingendoci a evocare per la prima volta l’espulsione di un inquilino per morosità. Poi, medicata ma non curata tanta ferita, ecco lo tsunami dei migranti. Stavolta la partizione distingue, zigzagando, l’Est dall’Ovest, ossia alcuni paesi in paranoia xenofoba da altri che cercano di non farsene contagiare, aggrappandosi ai valori fondativi della moderna civiltà europea. I muri portanti dell’architettura comunitaria si stanno sbriciolando. Al loro posto proliferano arcigni tramezzi o loro surrogati in lamiera e filo spinato. A disegnare sinistre enclave protette, che si vorrebbero impenetrabili ai migranti d’ogni sorta, profughi inclusi. Neanche fossero portatori d’infezione culturale. Forse però gli infetti siamo noi. Come possiamo considerarci associati in una comunità di destino con un paese come l’Ungheria, che nel 1956, invasa dai carri sovietici, suscitò in Europa occidentale (Italia compresa) una gara di solidarietà con i suoi profughi, e che oggi si trincera dietro un muro, dichiara criminali coloro che vorrebbero passarlo e mobilita polizia ed esercito contro chi s’azzarda a bucarlo? Quando nel 2000 i “liberali” austriaci di Jorg Haider furono ammessi al governo dell’Austria, gli altri quattordici Stati membri (l’Ungheria e gli altri ex satelliti di Mosca erano ancora in lista d’attesa) imposero blande sanzioni politiche a Vienna. Oggi a Budapest domina, legittimato dal voto popolare, un carismatico leader xenofobo, Viktor Orbán, al cui confronto Haider si staglia campione di tolleranza. Per Orbán i migranti sono animali pericolosi e per tali vanno trattati. Esasperati, i tedeschi minacciano di colpire l’Ungheria e gli altri paesi che equiparano i migranti ai criminali con sanzioni economiche, tagliando i fondi strutturali loro dedicati. È notevole che, nel penoso annaspare della Commissione e nella decadenza della Francia, Berlino si muova per conto del resto d’Europa, avendo constatato che persino i vertici intergovernativi non servono più a nulla, se non a riconoscersi diversi. Certo non è con le multe, per quanto onerose, che si può spaventare chi si considera in lotta per la sopravvivenza contro un’invasione nemica. L’unica coerente misura sarebbe di separarci con un taglio netto da chi viola apertamente e ripetutamente le regole di base della convivenza umana, prima che lettera e spirito dei trattati europei. Se questa è la sua Europa, se la tenga. Sulla questione migratoria sta riaffiorando un antico spartiacque geoculturale che la retorica europeista voleva sepolto. Al Centro-Est del continente, tra Balcani e Baltico, persiste una radicata concezione etnica dello Stato: l’Ungheria è degli ungheresi (naturalmente anche di quelli in provvisoria diaspora, specie fra Slovacchia, Serbia e Ucraina), la Slovacchia degli slovacchi, la Romania dei romeni (inclusi quelli di Moldavia) eccetera. All’Ovest resiste a stento l’idea di cittadinanza, che fonda la nazione su valori e regole condivise al di là del sangue. Modello inaugurato dalla Francia rivoluzionaria, che oggi trova nella Germania multietnica l’esempio migliore. Geograficamente siamo tutti europei. Culturalmente e politicamente apparteniamo a continenti diversi. Ancora per poco, forse. Da questo sabba xenofobo potremmo essere travolti anche noi euroccidentali, italiani non esclusi. Il mito della comunità monoetnica, votata a proteggersi dalle impure razze che bussano alle porte, ha rivelato nella storia la sua potenza di fascinazione. Partita nel 1957 come Europa occidentale, avanguardia veterocontinentale dello schieramento atlantico, questa Unione Europea può scadere nel suo perfetto opposto: un caotico subbuglio di nazionalismi etnici. Arcipelago di reciproci apartheid. Ciascuno arroccato dietro le sue fortificazioni. Con le eurocrazie elitiste a salmodiare nei palazzi blu di Bruxelles e Strasburgo, mimando riti cui esse stesse hanno rinunciato a credere. Nelle emergenze storiche le democrazie europee hanno saputo talvolta ispirarsi a leader decisi a difenderle. Vorremmo sbagliarci, ma oggi non ne vediamo traccia !

martedì 15 settembre 2015

Passo dopo passo.....

Un po’ alla volta. Passo dopo passo..... ci sta conducendo lì. Qualche volta prendendoci per mano. Qualche altra volta stupendoci. Spesso facendo e poi dicendo. Tutta colpa, o merito, della coerenza. La sua. Non bisogna però tirarlo per la giacchetta. Anzi per la papalina. Noi a discutere di IMU e Tasi qualche mese fa. Lui silenzio. Ieri l’affondo. ‘I conventi se lavorano come alberghi, paghino le tasse’. Che viene dopo: - ‘Le chiese chiuse sono dei Musei’ e questo in Italia soprattutto è verissimo. - ‘Ogni parrocchia ospiti una famigIia di migranti’. Qualcuno dice che sta facendo poca teologia e quella che fa la fa male (vedi annullamento dei matrimoni!). Certo è che i barboni si fanno la doccia a San Pietro, che l’elemosiniere del Papa lavora più per strada che dietro la scrivania, che i vescovi come Gaillot messi ai margini della Chiesa perché stanno dalla parte dei poveri salgono in Vaticano chiamati in udienza dal Papa in persona. Ha un modo originale e tenace di interpretare quella pagina splendida del Vangelo quando Gesù in persona, arrabbiandosi come una furia, caccia i mercanti dal tempio che erano lì con il tacito consenso dei grandi sacerdoti che nello stesso luogo pregavano e amministrativo i loro riti e il loro potere. Non si arrabbia Francesco. Mica è Gesù! Ha un modo tutto suo di dire e svelare le ambiguità. Si serve del potere per poter fare e dire delle cose potenti. Il ‘lì’ dove ci sta portando è la Chiesa delle beatitudini, che sono roba di questo mondo non dell’altro!

lunedì 14 settembre 2015

LA SCUOLA NEL BOSCO !

A Ostia Antica prende il via la Scuola nel Bosco, un progetto sperimentale dedicato all'educazione primaria e basato sull'insegnamento all'aria aperta, esperienziale e impartito dalla natura. "Si impara facendo!" e lo si fa in un luogo da fiaba, immerso nel verde, circondato dalla Storia e a due passi dal mare. “Una volta scesa dal trenino attraversa il ponte blu, al castello prendi la prima strada a sinistra, prosegui in mezzo la campagna, superate le pecore segui le indicazioni in legno. Sarà una passeggiata!”. Quello che potrebbe essere l’inizio di una favola è in realtà il percorso per arrivare alla Scuola nel Bosco. Me lo ha spiegato Giordana per telefono e subito la mia fantasia ha iniziato a lievitare. E le aspettative non sono state deluse: la Scuola nel Bosco è davvero un luogo magico. Immerso nel verde, ricavato in un antico casale, baciato dal sole. La Scuola nel Bosco ha tutto ciò che si potrebbe desiderare per crescere, imparare e divertirsi. Non ci sono banchi, lavagne e castighi. In un angolo un cartello ricavato dal legno ammonisce: "In questo piccolo pezzo di mondo non è vietato: giocare a palla, saltare sulle balle, salire sugli alberi, ridere a crepapelle, sporcarsi, giocare con l'acqua, urlare di gioia, andare nelle pozzanghere". “Andate a giocare ma senza divertirvi!” si sente urlare ironicamente da uno dei maestri. I bambini scoppiano a ridere. Attorno a loro lo spazio aperto è tantissimo e i giochi sono quelli di una volta: balle di fieno, amache, una corda a cui appendersi. E poi ancora: cani, gatti e un asino, di nome Serafino. “E’ uno dei maestri” mi spiegano entusiasti i bambini. E c’è da crederci. Un altro dei maestri compare avvolto in un mantello marrone, scalzo: “Chi è pronto per salire sulla nostra nave e salpare con noi verso quest’avventura?” chiede ai futuri scolari incantati. In un attimo si forma una fila perfetta di bambini che non vedono l’ora di gettare gli ormeggi. E’ il primo giorno di scuola primaria e loro sono entusiasti. Inizia il viaggio e, a quanto pare, è tutto prontissimo. “A parte il programma - racconta Paolo, un altro degli insegnanti - qui è tutto in divenire. Abbiamo delle linee guida ma poi sono i ragazzi che di volta in volta ci indicano la via. Se si è in grado di ascoltarli, gli alunni sono bravissimi a indicare il metodo migliore per insegnare loro”. E, a quanto pare, il metodo funziona. Da anni ormai l’Asilo nel Bosco (situato nello stesso luogo) raccoglie consensi e ottiene successi grazie a questo approccio e ora, con la Scuola nel Bosco, anche i bambini più grandi, dai sei ai dieci anni, potranno sperimentare questo nuovo progetto pedagogico. “La scuola nel Bosco nasce proprio dalla collaborazione tra L’Asilo nel Bosco e l’Istituto Comprensivo Amendola Guttuso - spiega Paolo - I bambini sono iscritti alla scuola pubblica che ha sede ad Ostia Ponente ma parteciperanno a questo progetto sperimentale che ha la base nel nostro casale nella campagna di Ostia Antica. L’obiettivo è quello di stimolare processi d’apprendimento efficaci puntando sulla curiosità degli alunni, che per noi è l’unica chiave in grado di aprire davvero le porte della conoscenza”. Ma come funziona questo approccio? “Intanto i libri di testo sono sostituiti da esperienze piacevoli in grado di stimolare le domande dei ragazzi. La lezione di Scienze, per esempio, si farà nel bosco o nell’Oasi LIPU di Ostia, quella di Storia agli Scavi di Ostia Antica o al Castello di Giulio II, quella di letteratura si farà spesso attraverso il teatro o il fumetto, quella di geometria all’orto e così via”. Ma non solo: “Le arti saranno quotidianamente presenti nella vita dei bambini - continua Paolo, presentando i vari colleghi - la pittura, la scultura e il fumetto saranno tutte discipline che faranno parte integrante del Piano di Offerte Formativa. Non mancheranno inoltre lo yoga, il teatro, la musica…”. E il tutto si svolgerà prevalentemente all’aria aperta. “Un altro aspetto caratterizzante della nostra Scuola. Con l’Asilo nel Bosco abbiamo potuto vedere con i nostri occhi quello che tanti studi pedagogici hanno da sempre sostenuto: più i bambini stanno all’aperto più crescono autonomi, creativi, sereni, con una socialità molto ricca e poco conflittuale. Ora si tratta di metterlo in pratica anche nella scuola primaria”. Tutto ciò, ovviamente, senza trascurare gli obiettivi dell’insegnamento tradizionale, anzi: “Lavoreremo sugli obiettivi del ministero e siamo convinti che con la didattica che proporremo raggiungeremo i diversi traguardi in minor tempo e, soprattutto, lo faremo in maniera piacevole per i bambini, perché - sottolinea Paolo - la felicità dei bambini nel presente, per noi, è un aspetto primario. Il nostro sogno è che la scuola diventi un posto così bello che i bambini ne reclamino l’apertura anche nei giorni festivi!”. Un obiettivo non da poco, ma niente a confronto con la missione che si sono prefissati questi estrosi e coraggiosi maestri del Bosco: “Siamo convinti che gli alunni che faranno questo percorso avranno successo anche nelle esperienze scolastiche successive ma ci teniamo a sottolineare che il nostro scopo principale non è quello di prepararli alle medie, al liceo, all’università o ad una futura occupazione ma quello di fornire competenze che saranno davvero utili nella vita”. Forse, la sfida più grande che ogni insegnante dovrebbe porsi. Ad oggi, del resto, nei Paesi del nord Europa questo tipo di insegnamento è già molto diffuso e anche in Italia realtà del genere stanno prendendo rapidamente piede: “Sarà che i risultati sono sorprendenti! - afferma Paolo con soddisfazione - Anche per questo insieme agli altri progetti italiani di educazione all’aria aperta stiamo costituendo un’associazione che tra i diversi obiettivi ha quello di stimolare lo Stato a fare una nuova legge per la scuola dell’infanzia e per la primaria, visto che quella vigente risale al 1975...” E, forse, è un po' anacronistica!(E. T.)

Buon dialogo!

La lettura ha incespicato in una domanda: ‘Come può accadere che un gruppo di dirigenti con indici individuali d’intelligenza superiore a 120, abbia un indice collettivo di 63?’. La risposta qualche rigo più in là: ‘la disciplina dell’apprendimento di gruppo inizia con il dialogo, la capacità dei membri del gruppo di mettere in mora le ipotesi e passare a un genuino ‘pensare comune’. E ancora: ‘è interessante notare come la pratica del dialogo si è preservata in molte culture primitive ma è quasi completamente perduta nella società moderna’. Ecco un sincero augurio agli insegnanti: coltivare la pratica del dialogo, investire sul gruppo e sulla sua possibilità di potenziare e non ridurre le intelligenze e le capacità di ognuno. Se cresce il gruppo, l’indice collettivo del gruppo, cresce anche ogni singola persona. Cresce soprattutto il pensare comune Le piccole rivoluzioni sociali cominciano quando la classe scopre i legami e diventa gruppo. Che sia un anno di legami rivoluzionari per ognuno !

domenica 13 settembre 2015

Il razzismo ? Una cosa molto seria!

Il razzismo Il razzismo è una cosa molto seria. È una ideologia, cioè una visione del mondo basata su concetti più o meno astratti e più o meno sofisticati, che “spiega” il perché di alcuni fenomeni sociali, ne individua le ragioni, fornisce soluzioni. Fa, il razzismo, quello che fa qualunque altra ideologia o religione (pur’essa una ideologia): interpreta il mondo. Il razzismo non è una ideologia che trova sostenitori solo tra le fasce di popolazione più ignoranti e culturalmente chiuse. Per niente. Storicamente è sempre stato una ideologia trasversale che si è radicato nel sottoproletariato come tra la colta borghesia. La sua idea base è che le popolazioni umane non siano tutte uguali ma che esista, al contrario, un ordine gerarchico dove le popolazioni umane si posizionano in base a criteri variabili ma che, nella sostanza, tendono sempre a stabilire una graduatoria, dall’alto verso il basso. Non esiste un solo criterio per definire la scala gerarchica, naturalmente. Di volta in volta, a seconda di dove l’ideologia razzista viene insegnata e praticata, può essere il colore della pelle, la religione, gli usi e costumi che alcuni gruppi etnici praticano, tutto questo e molto altro ancora variamente miscelato. Il razzismo è discendente e ascendente. Cioè guarda verso l’alto e verso il basso. L’atteggiamento del razzista non è quello della repulsione verso la popolazione considerata inferiore o superiore. È, nel caso di razzismo verso gli “inferiori” quello della dominazione. Nel caso di razzismo verso i “superiori” la complicità, il desiderio di essere accettato. Salvo il caso, naturalmente, in cui il razzista si consideri facente parte della popolazione in cima alla scala. Dunque per essere davvero razzisti occorre possedere un certo numero di informazioni, vere o false che siano, una discreta capacità di elaborazione intellettuale e la convinzione che le informazioni possedute e la logica che le tiene assieme siano vere, verificate e, in linea di principio, sempre verificabili. Il razzismo è pertanto un fenomeno politico e della specie più strutturata: è ideologia. Cosa ben diversa è la paura sociale. Cioè il sentimento di timore che una parte consistente di individui manifestano nei confronti di fenomeni sconosciuti o poco conosciuti ma considerati, complessivamente, a torto o a ragione, una minaccia alla propria sicurezza o alla propria tranquillità sociale e individuale. La paura sociale si manifesta sempre attraverso la repulsione. Si respinge cioè il fenomeno col quale si viene in contatto o si scappa da questo per il timore che possa essere nocivo, al limite mortale. I fenomeni che generano paura sociale sono quasi sempre fenomeni di grande cambiamento: politico (l’ascesa di partiti considerati pericolosi, di destra o sinistra che siano), economico (le crisi che determinano disoccupazione, malessere sociale), culturale (la richiesta di liberalizzazione delle droghe, lo sviluppo di tecnologie che stravolgono le abitudini consolidate) e demografico (l’immigrazione). La paura sociale non è una ideologia. Non ha una visione del mondo organica e strutturata. E’ semplicemente un sentimento. Certo, allo stesso modo delle ideologie attecchisce trasversalmente. Si impossessa del sottoproletario analfabeta, come del borghese colto, come dell’intellettuale esterofilo ma, a differenza dell’ideologia, la paura è, come tutti i sentimenti, variamente esposta alle contingenze individuali e sociali che vengono percepite o fatte percepire. E’ mutevole, è instabile, è camaleontica e, il più delle volte, non sfocia in azioni politiche (cioè pianificate e coordinate) ma in episodi spontanei considerati di difesa in un certo momento e in un certo luogo: la fuga, l’atto violento, la sottomissione. La paura usata per fare politica Masse di popolazione che sono pervase da sentimenti sociali forti negativi (paura, odio) sono, come noto, più facilmente esposti alle manipolazioni politiche di qualcuno che freddamente pianifica azioni collettive mirate a raggiungere scopi specifici. L’indifferenza, l’apatia, non generano interesse verso qualcosa. La paura, l’odio, il risentimento sociale, sì. E se qualcuno offre risposte a questi sentimenti è facile che le risposte vengano prese sul serio. Senza rifletterci molto se vengono percepite come rassicuranti e risolutive del problema che genera il sentimento. E’ in queste fasi, in cui le società sono attraversate da grandi sentimenti sociali forti (specie la paura e l’odio), che alcuni individui, politicamente esposti, vengono considerati o il capro espiatorio o, all’opposto, i salvatori della patria. Con tutto quello che situazioni del genere comportano. Cosa sta succedendo in Italia e in Europa ? Stiamo assistendo, ormai da almeno tre decenni, a grandi cambiamenti politici, economici e demografici in Europa e in Italia. Tutti e tre questi fenomeni tengono banco alternandosi – a seconda dell’enfasi che i media di massa vi rivolgono – periodicamente e generando sentimenti diffusi di paura, frustrazione, scontento. Per quanto riguarda uno di questi tre fenomeni, l’immigrazione, io non sono molto propenso a credere che, in generale, gli italiani stiano scoprendosi razzisti nel senso ideologico che ho evidenziato prima. Sono molto più disposto a credere che questa generica ondata di accuse, minacce, tentativi di linciaggi, stomachevoli affermazioni rese sui social network siano più che altro dovute alla repulsione verso un fenomeno percepito come minaccioso. Siano, cioè, paura sociale. Paura della diversità, paura del perdere il proprio lavoro, paura per la sicurezza personale, paura per una situazione che viene giudicata incontrollabile e incontrollata. Non importa quanto reali siano queste paure. Importa quanto seriamente vengano percepite. E’ una cosa totalmente diversa dal razzismo, sebbene possa essere usata per fare razzismo e potrebbe sfociare nel razzismo (e vi sfocia anche in taluni casi, vedi l’uso schiavistico che viene fatto di molti immigrati di colore, e non solo, nelle piantagioni agricole di molte parti d’Italia). E’ razzismo, vera ideologia, invece quella che in alcuni casi si manifesta in alcuni Paesi d’Europa. Paesi storicamente colonialisti, quindi permeati (si studia a scuola, fin dai primi anni, in paesi come la Francia o la Gran Bretagna, il colonialismo come fenomeno di civilizzazione di popolazioni primitive e “selvagge”) da una ideologia fondata sulla superiorità culturale che diventa superiorità razziale (la pelle bianca contro quella scura). Oppure Paesi con tradizioni storiche dominanti (la Germania, alcuni paesi nati dallo smembramento dell’Impero asburgico). Non è propriamente razzismo neppure quello che esiste in alcuni Paesi europei la cui storia è segnata dalle dominazioni di paesi vicini (paesi baltici, Polonia). Questi paesi tendono a sviluppare politiche di autonomia rispetto ai paesi vicini che li hanno dominati per secoli – o per decenni – e vedono nell’immigrazione di massa (vera, presunta o potenziale) un indebolimento dell’identità nazionale e dell’autonomia politica e quindi una possibile maggiore esposizione agli appetiti di paesi vicini considerati paesi ostili (Russia, Germania). Come distinguere un razzista da uno che ha paura Non è una operazione particolarmente complicata. I due profili idealtipici hanno parti che si sovrappongono, ma le due figure non coincidono mai. Un razzista ha una discreta conoscenza della storia del Paese in cui vive, tende a dare a questa storia una aurea di santità, di superiorità, di grandezza. Considera il suo paese un organismo vivente dotato di un’anima, di uno spirito che resiste nei secoli indistruttibile benché malmesso a volte. Parla di “popolo”, di “patria”, di “civiltà” messi in pericolo dallo “straniero” in genere selvaggio, primitivo, violento. E inferiore. Per destino. Senza possibilità di riscatto. Condannato ad essere inferiore per sempre e dominato per sempre. Un individuo pervaso dalla paura sociale non arriva a questi livelli di sofisticazione intellettuale. Non perché sia cretino. Semplicemente non gli interessano questi ragionamenti. E’ un signore che vive del suo quotidiano, che sia brillante o che sia miserabile. Ma che si sente minacciato. Minacciato di perdere, in favore non degli “stranieri” ma degli “estranei”, quello che ha. Poco o molto che sia. Se si avventura in discussioni storiche o sociologiche non ha argomentazioni da proporre che non siano slogan insensati, frasi fatte, luoghi comuni. Dimostra grande disinteresse per tutto quello che si oppone alle sue paure ed accetta solo soluzioni radicali che lo rassicurino. Che sono quelle tipiche che tendono a ridurre il peso della paura: repulsione, fuga, violenza, rassegnazione. (T.C.)

L'Italia delle .....scorciatoie !

"C’è un’Italia in cui alberga un individualismo disilluso e amorale: quello che non fa conversare i valori individuali con i valori morali e che vede l’interesse pubblico in funzione del riconoscimento di un vantaggio individuale. È l’Italia in cerca di scorciatoie, che tenta di rifare il verso dei furbetti del quartierino, che cerca di emergere a qualsiasi costo e possibilmente in un colpo solo. È l’Italia del “particulare”, quella vischiosa che, pur di durare a lungo, non decide e fa ostruzione, che cinicamente si copre nelle protezioni clientelari, che predilige la rendita e i privilegi derivanti dalle nicchie protettive del mercato politico."

Ma .....non è che nel 1989 abbiamo sbagliato tutto?

E se avessimo sbagliato tutto in quel lontano 1989? E se avessimo preso un abbaglio comune? Mi riferisco alla caduta del Muro che riunì le due Germanie e che contestualmente vide la fine dell’URSS. Da come sono andate le cose da quel giorno verrebbe da pensare che sarebbe stato meglio lasciare tutto come stava. In fondo, la Germania fu divisa perché “protagonista” di due guerre a distanza di pochi anni e per quanto male aveva fatto a l’umanità intera. La fine dell’URSS poi ha sbilanciato nettamente gli equilibri dando agli Stati Uniti quel ruolo di “guida” e di “sceriffo del mondo” che gli USA non solo non meritano, ma che non hanno saputo in nessun modo valorizzare. Comportandosi da potenza imperiale “ignorante” della storia e delle dimensioni culturali dei popoli. In poche parole chi pensava che il ruolo dell’URSS fosse inutile, anche orribile, dovrebbe riflettere sul fatto che grazie all’equilibrio che c’era tra i due sistemi probabilmente avremmo evitato il caos nell’ Iraq, In Siria, nello Yemen, in Libia, e avremmo uno Stato d’Israele meno aggressivo nei confronti della Palestina. Insomma, questa “esportazione della democrazia” non sta andando a buon fine. La democrazia, lo vediamo, sta finendo stritolata dalla dittatura del debito anche da noi, e non se ne vede nessun effetto in Medioriente. Va detto, poi, principalmente, che l’Europa sarebbe potuta crescere senza dover agire sotto dettatura del capitalismo statunitense, come avviene oggi. Con la caduta dell’URSS, gli USA si sono impossessati del mondo, hanno egemonizzato un po’ tutto avendo le mani libere e senza lo spauracchio “oltre cortina”. Non a caso la crisi finanziaria mondiale, oggi trasformatasi in crisi del debito sovrano, è partita proprio da quelle latitudini, con la caduta di tanti colossi della finanza ai quali l’Europa aveva dato credito e investimenti. Non è una “nostalgia” da ex comunista quella che mi fa pensare così, è solo un gioco mentale che ho voluto fare per immaginarmi cosa abbiamo guadagnato e cosa perso da quel 1989. Certo, la Germania unita è altra cosa rispetto a quando doveva fare i conti con la DDR. Poi, torno alla realtà e, nel darmi una spiegazione per quanto è avvenuto, mi rispondo dicendo che quelle intenzioni messe in atto, il crollo del muro e dell’URSS, fossero inevitabili, ma, allora, non si è tenuto conto il cambiamento veloce dei tempi e con essi l’apparire di classi dirigenti che non erano in grado di raccogliere un cambiamento così importante ed impegnativo. Quei cambiamenti erano evidentemente stati pensati da uomini diversi, uomini che ritenevano o di consegnare questi cambiamenti ad una classe dirigente alla loro altezza, con la loro stessa statura morale, politica e sociale. E invece, dopo il crollo del Muro, insieme a lui sono crollate le nuove classi dirigenti: questo, purtroppo, non riguarda solo il nostro paese. E’ da qui che dobbiamo ripartire, da una nuova classe dirigente che guardi indietro perché solo la storia può indicarci la via giusta per andare avanti. Certamente, quella attuale ha fallito in pieno: c’è da sperare che presto faccia le valigie e lasci tutto il patrimonio che la storia europea e mondiale ci ha lasciato a chi ne farà tesoro per creare un mondo più giusto, sempre con meno guerre e con meno disperati in fuga da esse e da dittatori affamati di potere e di sangue. (V.P.)

giovedì 10 settembre 2015

I Migranti e le ragioni della bontà tedesca.

Migliaia di persone hanno ripreso in questi giorni il loro viaggio verso la Germania dall’Ungheria. In Germania, “eserciti” di volontari si sono mobilitati nelle stazioni di Francoforte e Monaco di Baviera, nel sud e nell’ovest del Paese, per accogliere i nuovi arrivati con il cartello “Benvenuti” in Germania e offrire loro cibo, abiti e coperte. Un gesto commovente, se lo si vede dal lato della popolazione, capace di un’umanità da cui vi è solo da imparare. Gesti come questi ci insegnano che non tutto è perduto. Ma se si analizzano le ragioni profonde? Se si guarda al contegno del governo tedesco? La prospettiva cambia decisamente. La Germania della Merkel, la stessa che si sta comprando la Grecia e riducendo alla fame il popolo greco; la stessa che fa vivere milioni di cittadini tedeschi con contratti “mini-job” a 400 euro al mese, senza diritti e senza dignità; la stessa che, pochi mesi fa, faceva piangere – ricordate la patetica scena della signora Merkel? – la ragazzina palestinese, spiegandole che non poteva essere accolta; ecco, quella Germania ora vuole dare pure lezioni all’Europa, accogliendo con striscioni di benvenuto e applausi i profughi e i migranti. Buonismo? Ospitalità? Niente affatto! Coerente con se stessa, la Germania giubila all’arrivo del nuovo “esercito industriale di riserva” di lavoratori a basso costo, disposti a fare ogni lavoro al ribasso e, così facendo, ad abbassare il costo della manodopera. Giubila all’idea dell’uso ideologico che può fare di questo gesto, preparando le condizioni ideali, nell’opinione pubblica, per un prossimo “intervento umanitario” con “bombardamento etico” nella Siria di Assad. Già lo sappiamo, ma giova ricordarlo. Alimentando traffici di esseri umani ridotti a merci e biechi interessi padronali, l’esercito industriale di riserva dei migranti rappresenta un immenso bacino di manodopera a buon mercato, peraltro estranea alla tradizione della lotta di classe: permette di esercitare una radicale pressione al ribasso sui salari dei lavoratori, spezza l’unità – ove essa ancora sussista – nel movimento operaio e, ancora, consente ai padroni di sottrarsi ai crescenti obblighi di diritto al lavoro. L’immigrazione è oggi usata dal capitale come strumento nella lotta di classe: al capitale non interessa integrare i migranti; interessa, semmai, usare i migranti come nuovi schiavi e poi anche come arma per disintegrare i non-migranti, rimuovendo loro i pochi diritti superstiti. Occorre ripeterlo. Non è qui in discussione la buona fede e l’ospitalità della gente tedesca, che ha dato prova di grande umanità e ha, per così dire, riscattato l’immagine della Germania degli ultimi tempi. In questione è, invece, la politica generale della Germania della Merkel, le sue logiche sotterranee. Chi vivrà, vedrà.

mercoledì 9 settembre 2015

LA MIA EUROPA !

Tanti cittadini europei stanno mostrando accoglienza e solidarietà nei confronti delle tante persone in fuga verso la speranza di un futuro migliore. Europei che non chiedono “chi sei?” ma “di cosa hai bisogno?” Una attesa scintilla di umanità, che potrebbe spazzare via anni di indifferenza, violenza e razzismo sbandierati e praticati da molti governi. Quei cittadini sono la mia Europa !

martedì 8 settembre 2015

Ah! Quei bravi cattolici che vanno tutte le domeniche in chiesa!

Nel vicentino un prete di un piccolo paesino ha chiamato a raccolta i fedeli della propria parrocchia per organizzare l'accoglienza di pochi profughi da sistemare in una canonica abbandonata da anni. La risposta? Un coro avvelenato di no, di «sono musulmani, no nella nostra chiesa!», di «prima i nostri!». Tanto da far dire al prete «Sono stato sommerso da urla da stadio, ma io non mi arrendo». Eccoli, questi 'fedeli', questi che si dicono «bravi cattolici». Sono quelli che si battono «per le radici cristiane», per i crocifissi e per il presepe. Sono quelli che vanno tutte le domeniche in chiesa a riempirsi la bocca di parole come «amore» e «fratellanza». Sono gli stessi che si preparano a lunghi viaggi per scendere in piazza a contestare l'amore e la felicità altrui. Sono quelli pluri-divorziati e risposati che cianciano di «famiglia tradizionale». Sono quelli che esultano per i migranti affogati in mare e che si ribellano all'accoglienza di poche persone che fuggono dalla guerra. Il tutto nel nome del Vangelo. Che però non dice nulla di tutto ciò. Anzi, dal Vangelo secondo Matteo (non Salvini): «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Io sono credente, e sono sicuro che queste persone ,se mai si pentiranno,saranno accolte anche dalla misericordia divina. Ma una cosa è certa: le loro coscienze, avvelenate da egoismi e ipocrisia, prima o poi a loro presenteranno il conto. E sarà impietoso!

lunedì 7 settembre 2015

Cari insegnanti...voglio guardarli bene i vostri occhi !

Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo. Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io? E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce. E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete, ditemelo. Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri. Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno. Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano. Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti. Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato. Aiutatemi a essere libero. Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate solo l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami. Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi. E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite. Per questo, un giorno, vi ricorderò".

martedì 1 settembre 2015

Quello che ci rende ricchi...

E' la cognizione del dolore che ci rende umani. Quella che ci fa vedere le cose in modo diverso. Dalla parte di chi soffre, dalla parte di chi è perduto, malato, oppresso. E che ci rende ricchi per un sorriso, per la stretta di mano di un amico. Per un piccolo momento di felicità. Cose che questa crisi ci sta facendo dimenticare. E noi vogliamo e dobbiamo ricordarle con maggiore forza, allora. Con maggiore speranza e voglia di essere e continuare a essere umani.