venerdì 28 febbraio 2014

COME ABBATTERE LA DITTATURA DISUMANA DELL'ECONOMIA?



Chi farà la rivoluzione di Francesco? 

Finché gli esclusi sono tenuti fuori e scartati dalla politica, l’azione per il cambiamento del sistema non può che essere condotta da minoranze, capaci di alleanze e di egemonia; nessuno che pretenda avere “vocazione maggioritaria” lo può fare invocando un altro sistema e parlando per gli esclusi ... pertanto, l'ordine esistente, per perpetuarsi, deve fare in modo che gli esclusi restino esclusi e anzi deve creare sempre nuove esclusioni...
C’è una questione seria: chi farà la rivoluzione di papa Francesco? Non parlo della  rivoluzione nella Chiesa, che papa Francesco chiama «conversione» o anche «permanente riforma» e che, come dice nella Evangelii Gaudium, deve cominciare dalla conversione del papato: questa la deve fare lui e con lui la devono fare i credenti della sua Chiesa Ma la rivoluzione che papa Francesco invoca per la società, e che lui chiama riforma finanziaria ed etica, per cambiare «un sistema sociale ed economico ingiusto alla radice» (E. G. n. 59) e abbattere la «dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano», la dobbiamo fare noi, i cittadini, uomini e donne amanti dell’umanità e della giustizia, credenti o non credenti che siamo.La critica al sistema economico dominante in nome dei poveri e degli esclusi Bergoglio l’ha formulata ben prima di diventare papa, insieme a tanti preti e vescovi che per questo, fossero o no partecipi della teologia della liberazione, in Argentina erano chiamati «comunisti». Ma «la scelta dei poveri risale ai primi secoli del cristianesimo» testimoniò il cardinale Bergoglio a Buenos Aires dinanzi  alla Corte che indagava sui crimini del regime militare argentino: «se io oggi leggessi come omelia alcuni dei sermoni dei primi Padri della Chiesa del II-III secolo, su come si debbano trattare i poveri - spiegò ai giudici - direste che la mia omelia è da marxista o da trotzkista», mentre invece «la scelta dei poveri viene dal Vangelo». Una critica di sistema
Il tema dei poveri doveva essere poi non solo un tema teologico forte del pontificato di Francesco («per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» ha scritto nella Evangelii Gaudium n.198; «tra la nostra fede e i poveri esiste un vincolo inseparabile», n. 48)), ma doveva diventare l’architrave del suo giudizio sulla situazione storica e del suo programma pastorale per il mondo. È rimasta ben presente in lui la consapevolezza, maturata in America Latina, delle cause strutturali della povertà, e questa si è tradotta in una radicale critica di sistema che il papa ha cominciato ad articolare e ad enunciare fin dai primi atti del suo pontificato. Già il tema fu avanzato in tutta la sua ampiezza nel discorso rivolto agli ambasciatori di quattro piccoli Paesi venuti a presentargli le credenziali il 16 maggio 2013, nel quale metteva sotto accusa il «rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società», per cui «oggi l’essere umano è considerato come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto – aggiungeva - Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole. Inoltre, l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale. A ciò si aggiungono, oltretutto, una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista che hanno assunto dimensioni mondiali. La volontà di potenza e di possesso è diventata senza limiti».

Il papa è poi tornato più volte a tematizzare la «cultura dello scarto». Il mondo di oggi non è concepito, non è pensato per tutti: «Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la cultura dello scarto», ha detto Francesco il 5 giugno in piazza san Pietro; e più volte ha citato un midrash ebraico che, a proposito della torre di Babele, diceva che se si rompeva un mattone d’argilla tutti facevano un grande pianto, ma se un operaio cadeva dall’impalcatura e moriva, nessuno si preoccupava. E la stessa cosa accade «se una notte d’inverno in via Ottaviano» (che è vicino al Vaticano) «muore una persona; quella non è una notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è una notizia, sembra normale…. Al contrario un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città costituisce una tragedia. Così le persone vengono scartate come se fossero rifiuti».Questo filo rosso che attraversa tutta la predicazione di papa Francesco, rimarrebbe un puro lamento se non si traducesse in un’assillante richiesta di un cambiamento di sistema, esplicitamente chiamato in causa come tale. Così ha fatto quando, parlando con i giornalisti di ritorno dal Brasile, ha additato «il sistema socio-economico mondiale» come responsabile dei morti e dei naufraghi di Lampedusa; così ha fatto parlando agli operai e ai disoccupati di Cagliari, il 23 settembre 2013, esortandoli a non farsi «rubare la speranza e la dignità» insieme col lavoro, ad avere coraggio, a pregare per avere il lavoro e per imparare «a lottare per il lavoro», mentre egli, per parte sua, non poteva limitarsi a dire solo «una bella parola di passaggio», ma doveva impegnarsi «come pastore e come uomo» per sostenere questo coraggio, per rivendicare insieme ai lavoratori «un sistema giusto, non questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male».Finalmente la critica di sistema di papa Francesco prendeva tutta la sua forza in un passaggio cruciale del documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione Evangelii Gaudium pubblicata a conclusione dell’anno della fede.Qui il papa riprendeva alla lettera le tesi già enunciate agli ambasciatori il 16 maggio e diceva che con la stessa forza con cui proclamiamo ilnon uccidere «oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide…. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita» (E.G. n.53).Né si può pensare che le cose si mettano a posto da sé, come vorrebbe l’assioma ideologico del liberismo; infatti il papa respingeva «le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare».

Dallo sfruttamento all’esclusione
Mai, dopo la critica marxiana al capitalismo era stata espressa un’opposizione così forte al sistema economico vigente, alla sua ideologia, alla sua matrice antropologica, anche se il nome con cui viene chiamato l’oggetto del rifiuto non è «il capitale» ma «il governo del denaro». Senonché la situazione non è più quella analizzata da Marx, e dunque si deve andare oltre Marx: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione – dice il papa – ma di qualcosa di nuovo»; si tratta dell’esclusione, e «con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nelle periferie, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».Messe così le cose, si pongono alcune domande.1) In nome di quale ideologia viene formulato questo giudizio? Né ideologia né sociologia, «ciò che intendo offrire – dice Francesco – va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico». Dunque siamo in un terreno specificamente cristiano.2 ) La critica al sistema disumanizzante ha solo una ragione politica e umanitaria, o ha una ragione teologica? È una critica teologica, perché il sistema viene descritto come idolatrico; esso ha scelto il denaro come suo dio, i «benefici» come regola assoluta e il mercato «divinizzato»; perciò esso avverte Dio come una minaccia, perché Dio «è incontrollabile, non manipolabile, perfino pericoloso» nella misura in cui vuole sottrarre l’essere umano ad ogni schiavitù (n. 57). Dunque Dio contro Dio, la causa è specificamente cristiana. 3) Prendendo di petto un problema umano generale, il papa esce dal recinto della Chiesa e si getta nel mondo, inteso come il grande spazio che va oltre la Chiesa? Se si intende la Chiesa nel modo tradizionale e la si identifica con l’istituzione cattolica, certamente il papa esce dal suo recinto. Ma nella visione dell’ Evangelii Gaudium c’è un nuovo «modo di intendere la Chiesa» (n. 111); essa non è solo il popolo che visibilmente le appartiene, ma è il Popolo di Dio che si incarna nei popoli della Terra (n. 115), che ha le sue radici nella Trinità  e la cui «armonia» è lo stesso Spirito Santo: dunque si tratta di «tutti», degli «esseri umani di tutti i tempi»; questa Chiesa, ricca della varietà di tutti i popoli e di tutte le culture, come «sponsa ornata monilibus suis» (la sposa che si adorna con i suoi gioielli), è l’umanità tutta intera, è l’intera collettività (anche se non ancora comunione) dei figli di Dio. Dunque quando si parla del mondo dominato dal denaro si parla di una realtà universale che è ancora nel mistero cristiano.

Quali i soggetti della liberazione?
4) Infine c’è l’ultima domanda, difficile. Quali sono i soggetti della liberazione? È la domanda su cui è caduta la sinistra dopo la fine del comunismo, quando al posto degli operai ha evocato il Terzo Mondo, le donne, i giovani. Secondo la risposta classica i soggetti della liberazione sono le stesse vittime. Quindi, nello schema marxista, sono gli sfruttati e gli oppressi. Ma ora, secondo il papa, le vittime sono gli esclusi. E gli esclusi non possono fare la rivoluzione perché, appunto non ci sono, sono messi fuori.Da ciò vengono alcune conseguenze.La prima è che la lotta contro l’esclusione è obiettivamente rivoluzionaria, perché attacca il cuore del sistema di «inequità» (come lo chiama il papa, inequidad in spagnolo), e rimettendo gli esclusi nella società vi introduce i soggetti della liberazione. Dunque ciò facendo la Chiesa non fa la rivoluzione, ma la prepara.La seconda è che, finché gli esclusi sono tenuti fuori e scartati dalla politica, l’azione per il cambiamento del sistema non può che essere condotta da minoranze, capaci di alleanze e di egemonia; nessuno che pretenda avere “vocazione maggioritaria” lo può fare invocando un altro sistema e parlando per gli esclusi.La terza è che l’ordine esistente, per perpetuarsi, deve fare in modo che gli esclusi restino esclusi e anzi deve creare sempre nuove esclusioni. È impressionante per esempio vedere come la legge elettorale che oggi viene promossa al posto del “Porcellum” sia una legge di esclusione, che tende a escludere pezzi sempre maggiori di elettorato e di forze parlamentari. E si capisce anche perché c’è chi si rallegra affermando che con la legge maggioritaria finisce ogni possibilità di un cattolicesimo politico, restando possibile solo la dispersione dei cattolici nel mucchio delle forze omogenee al sistema. Se l’appello del papa per l’uscita dal sistema di esclusione e d’iniquità riguarda anche loro, essi dovrebbero invece recuperare una loro autonomia ideale e politica, impedire che il sistema sia corazzato e blindato e che le sue gerarchie si perpetuino per cooptazione, e creare gli spazi perché delle minoranze creative e motivate possano rompere i limiti del sistema e riaprirlo all’ingresso dei poveri, degli esuli, degli esuberi e degli esclusi e un mondo più amabile diventi possibile.

Raniero La Valle

Pensierino del giorno( 22 ) 28 Febbraio 2014

Nel Paese dei Balocchi aumentano sempre di più gli adulatori di professione, i leccapiedi per vocazione e gli interventisti della Rete che sanno sempre un pò di tutto!!! Voglio vedere dove andremo a finire.....diceva Totò!!!

giovedì 27 febbraio 2014

Pensierino del giorno (21) 27 Febbraio 2014

Nella sua imperscrutabilità..... l'Essere Supremo si riprende le anime più ...belle.....dopo aver fatto vedere agli  "umani" in cosa consiste  la "vera Bellezza" !!!    Ciao.....Luigino!!!

mercoledì 26 febbraio 2014

Pensierino del giorno (20) 26 Febbraio 2014

Nella "pugnalata" di Renzi a Letta vince la politica....... piccola piccola !............Nell'abbraccio Letta-Bersani la Politica ricca di sentimenti!!!

martedì 25 febbraio 2014

E ORA CHE SI FA ???



Auguro a Matteo Renzi buona fortuna, anche se non condivido il suo azzardo. Voto la fiducia al governo perché se dovesse fallire aumenterebbe la sfiducia di un paese già molto provato. Non c’è bisogno però che proprio tutti si aggiungano al coro. Può essere utile anche segnalare i pericoli al fine di prevenirli. E soprattutto è necessario per chi è in minoranza lavorare a una prospettiva diversa da quella imposta in questi giorni.

Niente è più come prima
Ci troviamo di fronte a una grande decisione che in un colpo solo cambia il sistema politico e in una certa misura anche la natura del Pd.
Tra sinistra e destra viene stipulato un accordo per l’intera legislatura, e non più un’intesa parziale per il tempo necessario ad approvare la legge elettorale. Si tratta di una manifesta rottura del mandato ricevuto dai nostri elettori. Se infatti era ancora legittima, per quanto criticabile, la formazione di un governo provvisorio, non è invece neppure nella potestà della Direzione del partito decidere un’alleanza organica con la destra.
Nessuno ha chiarito perché si è abbandonata la priorità della legge elettorale. Forse Renzi ha temuto di non riuscire ad approvarla in Parlamento, capendo di aver sbagliato nel cercare l’accordo sull’Italicum con il solo Berlusconi e non con tutte le forze politiche come sarebbe doveroso su tale materia. Forse è alla ricerca di un nuovo azzardo per correggere quello non riuscito soltanto qualche settimana fa.
Ora è però evidente che l’intesa col Cavaliere era ben più ampia dell’argomento elettorale, come dimostrano la nomina di una persona di sua fiducia al ministero dello Sviluppo - con delega alle televisioni – e la dichiarazione di voto da parte di Forza Italia, insolitamente ben disposta verso il governo. La base parlamentare del governo è spostata più a destra rispetto al secondo Letta. Infine al Viminale rimane Alfano, che ha mentito al Parlamento sul caso Schabalayeva.
Il segretario del partito diventa premier con una manovra di vertice senza passare per il responso elettorale, stracciando l’impegno preso con i suoi sostenitori. Le primarie cambiano quindi significato: non più un movimento di partecipazione popolare che prepara il progetto vincente del Pd per le prossime elezioni, ma un plebiscito che autorizza il leader a giocare l’ambizione personale in unione mistica con l'ambizione nazionale. Un partito che accetta questo ribaltamento di sovranità - addirittura con l’assenso di una minoranza - è già meno democratico di prima. La successiva elezione di modesti segretari regionali (con poche eccezioni) porta a compimento il partito in franchising: la cura del brand al leader mediatico e la gestione del potere ai notabili. I pasdaran renziani hanno già proposto di togliere dal simbolo la parola “partito”, ma quella che rischia di diventare obsoleta è la parola “democratico”.
Chi ha rotto il patto con gli elettori e con il popolo delle primarie ora non può fare appello alla disciplina ai parlamentari. Se vengono meno i patti, in futuro saremo tutti meno legati. Tra i due strappi c’è una certa coerenza. Per assorbire un’alleanza di legislatura con la destra occorre un partito domato alla potenza del leader. E questa, d’altro canto, può essere spesa solo per un’ambizione di non breve durata.
La Crisi delle larghe intese
Se l’operazione andrà in porto - e non è certo – l’Italia avrà percorso quasi un decennio senza una normale alternanza politica, dalla crisi del governo Berlusconi nel 2010 fino alle prossime elezioni del 2018. Gli anni Dieci passeranno con le larghe intese considerate come unico possibile governo della Crisi più grande. Eppure, alla prova dei fatti, questa formula politica ha smentito clamorosamente le sue stesse promesse. Si è rivelata incapace di unire il paese in uno sforzo condiviso, e inefficace nella politica economica.
Proprio la sua versione più pura - con il governo di Monti - ha determinato una spaccatura profonda con la metà dei cittadini che alle elezioni del 2013, anche per gli errori della sinistra, hanno espresso un rifiuto per il sistema politico-istituzionale. I dieci milioni di voti persi dai due poli hanno reso impossibile il bipolarismo. Proprio l’eccesso di governabilità ha prodotto l’ingovernabilità.
D’altronde tale esito ha portato a compimento una precedente tendenza ad annacquare le differenze che è la vera causa del fallimento della Seconda Repubblica. Il bipolarismo italiano è stato più conflittuale a livello simbolico ma meno differenziato rispetto al mainstream economico. La destra non ha realizzato la promessa rivoluzione liberista e la sinistra non ha difeso coerentemente la dignità del lavoro. Nella paglia di questa doppia delusione è divampato il malessere sociale grazie alla scintilla della Crisi. Le piazze dei forconi, delle partite Iva, ma anche dei referendum dell’acqua, delle fabbriche chiuse, degli insulti grillini sono alimentate dalla mancanza di progetti politici diversi e credibili.

La medicina è stata peggiore del male. La pretesa di tenere insieme scelte politiche opposte ha paralizzato le decisioni. Nella riduzione delle tasse la mancata scelta tra il lavoro e il patrimonio ha bloccato la politica economica proprio nel momento più difficile della crisi. Non funziona più la vecchia agenda di governo scritta dall’establishment, semplificata nei talk-show ed eseguita maldestramente dai governi Monti e Letta.
Eppure si riprova senza cambiare nulla, puntando solo sull’energia giovanile di Renzi. Si affida all’uomo nuovo il compito di realizzare il programma vecchio. Ma nel frattempo la crisi ha bruciato le risorse disponibili e ha reso più stringenti i vincoli. Per fare le vere riforme non basta declamarle, ma occorre prima di tutto renderle possibili conquistando nuovi margini di manovra. Ciò però comporta la messa in discussione di assetti consolidati, di convenienze conservative, di equilibri a ribasso. Gli editorialisti riducono i problemi reali a facili slogan di largo consenso per larghe intese: riduzione spesa pubblica, meno tasse, più crescita. In realtà è ormai ineludibile una gigantesca ristrutturazione di interessi e di convinzioni, che può essere realizzata solo da politiche radicali o di destra o di sinistra.
Il tempo delle decisioni
È ormai tempo delle grandi decisioni. La sinistra italiana ha il dovere di proporle ad un paese smarrito.
1) In Europa non basta chiedere una deroga, bisogna ricontrattare le regole di Maastricht che stanno aggravando la crisi, come è ormai sotto gli occhi di tutti. A chiederlo devono essere i paesi fondatori come l'Italia, insieme agli altri paesi mediterranei, alla Francia e per certi versi anche alla Gran Bretagna. Sarebbe urgente un'iniziativa diplomatica del governo Renzi prima che le elezioni di maggio facciano emergere la sfiducia dei popoli verso il progetto europeo. Certo la cancellazione del ministero per le politiche europee alla vigilia del semestre italiano non è un buon segnale.
La misura dell'integrazione non può essere solo la moneta. Il salario minimo che i socialdemocratici hanno conquistato per i lavoratori tedeschi andrebbe garantito a tutti i lavoratori europei. Dovrebbe essere la priorità del programma comune dei socialisti europei.
2) La dignità del lavoro non può ridursi a retorica; è la leva per ribaltare le politiche che hanno prodotto la crisi. Il dominio che la finanza ha imposto all'economia reale non solo genera sofferenze sociali, ma apre una crepa perfino nell'establishment, come si è visto nel dissidio tra Monti e Squinzi. Le imprese che crescono nella competizione mondiale non hanno l'assillo dell'articolo 18, ma puntano sulla coesione sociale, sui giacimenti territoriali della creatività, sulle competenze del saper fare italiano.
Per la sinistra c'è l'occasione di allargare le alleanze a favore della politica per il lavoro. Le risorse si trovano proprio mettendo in discussione i santuari e i dogmi del passato: se la Banca d'Italia ha usato le riserve per sostenere le banche, può impegnarle anche per un prestito finalizzato all’investimento nell'agenda digitale e nella conoscenza; invece di usare le risorse dei lavoratori per finanziare le multinazionali che chiudono le fabbriche, i fondi pensione potrebbero essere incentivati a creare nuovo lavoro italiano; invece di aiutare il salotto buono, la Cassa depositi e Prestiti dovrebbe favorire la crescita di imprese innovative nel Mezzogiorno. Sono solo esempi, in cui si possono trovare circa 100 miliardi di investimenti per aumentare l'occupazione, invece di perdere tempo con gli spiccioli della legge di stabilità vincolata dalle regole europee.
3) Quando metteremo l'ingegno italiano al primo posto dell'agenda di governo? Sogno il giorno in cui Renzi verrà in Parlamento non solo a parlare bene degli insegnanti, ma a finanziare il progetto di aprire le scuole giorno e sera, per dare istruzione di qualità ai figli così come per riportare sui libri anche i genitori. Per realizzare una grande infrastruttura di formazione permanente che annodi intorno alle scuole tutti i fili della creatività sociale, dalle produzioni giovanili, al volontariato, alle imprese no-profit, alla condivisione dei saperi, alle innovazioni dei governi locali. Senza questi laboratori non si realizzano i cambiamenti di mentalità che dovranno sostenere il recupero ambientale, il nuovo welfare, la transizione tecnologica e cognitiva.
4) Non si riesce a governarla dall'alto, l’Italia. I migliori risultati sono venuti quando la politica ha saputo aiutare i riformatori che stavano già facendo qualcosa di buono nella società. Quando invece si è statalizzata la politica ha perso la forza vitale ed è ricorsa alla robotica delle riforme istituzionali. Quelle realizzate finora hanno accelerato le decisioni, ma solo per approvare decreti privi di visione che hanno finito per aumentare la burocrazia. Invece di giocare con i rami alti bisogna ricostruire il basamento dello Stato nel paese reale. Le riforme non sono editti normativi, sono politiche pubbliche complesse, durature e soprattutto capaci di coinvolgere le migliori energie civili della nazione.
5) La crisi rischia di rattrappire lo spirito pubblico, di alimentare le paure, di esaltare gli egoismi. La destra organizza la fabbrica dell'intolleranza per speculare sul ripiegamento del paese. Al contrario, le sfide del mondo nuovo richiedono un innalzamento di grado della civiltà italiana. La vergogna dei morti di Lampedusa pesa come un macigno e sollecita la sinistra non solo ad approvare lo ius soli ma ad un'azione quotidiana per migliorare l'accoglienza e la solidarietà. Così come sui diritti civili, il riconoscimento della vita in comune tra persone dello stesso sesso, la lotta contro la violenza verso le donne, le leggi devono adeguarsi alle migliori esperienze europee.
Dopo il governo Renzi
A volte, in Parlamento, guardo l'emiciclo e mi viene da pensare che oggi ci sarebbero i numeri per risolvere problemi di tal fatta, come non era mai accaduto nella storia repubblicana. E allora perché siamo costretti a stare sempre con la destra?
Purtroppo milioni di voti sono bloccati da quel comico che invecchia proprio male. Però oggi il ghiacciaio comincia a sciogliersi e diversi senatori Cinque Stelle, tra i quali ci sono persone serie e competenti, si aprono a un produttivo confronto parlamentare. E anche in Sel c'è una discussione in atto, alla quale il Pd non ha offerto alcuna sponda, aiutando indirettamente una tendenza alla radicalizzazione e deludendo chi ricordava il patto Italia Bene Comune votato dai nostri elettori. 
Sarebbe interesse di Renzi guardare con attenzione anche verso questo lato della dinamica parlamentare, senza chiudersi esclusivamente nell'intesa a destra. Se questa unilateralità fosse confermata saremmo costretti a prendere l'iniziativa di un libero confronto a sinistra. Qualcuno di noi si dovrà spingere più avanti come esploratore per trovare il valico che porta in un altro versante. Un giorno più o meno lontano finiranno anche le larghe intese. Ma già oggi bisogna preparare il dopo governo Renzi.

Non capisco perché abbiamo aperto questa discussione tra chi vuole stare dentro e chi fuori. Sarebbero due impoverimenti. La nostra forza è proprio nel doppio lavoro, all'interno per spostare l'asse politico del Pd, e all'esterno per allargare le alleanze sociali e politiche.
E poi lasciatemi dire - da vecchio militante - che scissione è proprio una brutta parola, ha un significato mutilante, un freddo suono metallico, un tempo senza futuro.
Le discussioni di questi giorni mi hanno ricordato l'89, quando erano in gioco passioni, storie e ideologie ben più importanti di oggi. Allora avevo la vostra età e rimasi affascinato dalle parole del mio maestro: nella lotta politica non ci sono acque tranquille, bisogna stare nel gorgo per cambiare le cose. Oggi, però, aggiungerei: fin quando non si rischia di affondare!  

Walter Tocci

Pensierino del giorno (19) 25 Febbraio 2014

Qualche esperto di fisiognomica ci avverte.........osservatelo bene perchè dietro quel faccino di bimbo disinvolto e sognatore si potrebbe nascondere un venditore.......di fumo !!! E, in quanto italiani, in verità qualche cantonata l'abbiamo presa.....nella storia recente e nella storia lontana!!!

lunedì 24 febbraio 2014

Per fortuna...c'è sempre qualche grillo parlante!!!

Maggioranze silenziose e minoranze...urlanti nella Storia...... con qualche "grillo parlante".....stranamente inviso soprattutto ai fautori del "volemose bene" e del "fare inconcludente", molto interessati a mantenere lo "status quo" e a servire "l'analfabetismo politico" al potere !!!

Pensierino del giorno (18) 24 Febbraio 2014

Ma le "quote rosa" sono previste per l'inclusione di qualsiasi donna ...a prescindere? A osservare le 8 donne del governo Renzi........si direbbe proprio di sì !!!

domenica 23 febbraio 2014

QUANTO E' FATICOSO ESSERE CRISTIANO !!!

Oggi dal Vangelo di Matteo........il cristiano? E' tale .....se ama i suoi persecutori e prega per loro !!! Ecco......ho capito perchè i veri cristiani sono pochini e perchè il Cristianesimo non è una religione qualsiasi!!!

Pensierino del giorno (17) 23 Febbraio 2014

Populismo....demagogia.....carezze al popolo ...che non va disturbato e reso vendicativo( nel momento elettorale) con provvedimenti ...impopolari da parte dei governanti........"..il popolo deve solo essere compreso se gli costa un'immane fatica  essere più civile e più educato" (sic!)   ....... Eh, già.....così va il mondo!!!

sabato 22 febbraio 2014

L'AVARO (Trilussa)


Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda li quattrini nello specchio
pé vede' raddoppiato il capitale.
Allora dice: "Quelli li dò via
perché ce faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo pé prudenza..."
E li ripone nella scrivania !

Pensierino del giorno (16) 22 Febbraio 2014

Leggendo i curricula dei vari ministri del governo Renzi si deduce chiaramente che le lauree non servono più e che la cosa migliore da fare è quella di scendere in politica (in questo caso non si sale), forniti di un diploma qualsiasi o ancora meglio con il diploma di licenza media!!! Quanto alle competenze specifiche nel proprio dicastero........quelle poi non servono affatto!!! Povera patria!!!

venerdì 21 febbraio 2014

Pensierino del giorno (15) 21 Febbraio 2014

Uno show di appena otto minuti.........due clown con lo streaming ottengono ciò che ,in realtà,volevano !...Inesistenti gli interessi del Paese.......la Rete che diventa strumento di diffusione del massimalismo e del fondamentalismo........altrochè democrazia!!!

giovedì 20 febbraio 2014

Pensierino del giorno ( 14) 20 Febbraio 2014

Il confronto-scontro    Renzi-Grillo.........Renzi ,con la sua buona educazione......a dir poco arrogante, degno rappresentante dei....poteri forti, dall'altra parte Grillo, con la sua solita confusa aggressività, infelice rappresentante dei....poteri deboli !!!

mercoledì 19 febbraio 2014

Pensierino del giorno (13) 19 Febbraio 2014

Dopo la prima serata di Sanremo.......l'impressione è che la crisi economico-sociale deprime anche l'ispirazione musicale piuttosto che condurla verso le alte vette !!!

martedì 18 febbraio 2014

LEONIA........da Le Città Invisibili di I. Calvino

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la
popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava
 con saponette appena
sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti,
 estrae dal più
perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora
intonsi, ascoltando le
ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio.
Sul marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica
 i resti della
Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio
. Non solo tubi di
dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali
 contenitori, materiali
d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie,
pianoforti, servizi di
porcellana: più che dalle cose che vengono fabbricate,
 vendute, comprate,
l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni
giorno vengono buttate
via per far posto alle nuove.
(...) Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai
nessuno se
lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la
 città s’espande, e gli
immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza
 del gettito
aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano,
si dispiegano su un
perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia
 eccelle nel
fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora
 la sua sostanza,
resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni
e combustioni. E’ una
fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda
Leonia, la sovrasta da ogni
lato come un acrocoro di montagne.
(...) Più ne cresce l’altezza, più aumenta il pericolo
 delle frane: basta
un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato
 rotoli dalla parte
di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari
 d’anni trascorsi, fiori
secchi sommergerà la città nel proprio passato che
invano tentava di
respingere, mescolato con quello delle città limitrofe
 finalmente monde:
un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa,
cancellerà ogni
traccia della metropoli sempre vestita a nuovo
.

LA VOCE NEL......MONOLOGO !!!



 Eccomi qui per recitare un monologo. Che cosa noiosa, non è vero? per tutti loro.... e forse un poco anche per me. — Ma il monologo è il colore del tempo.... moderno applicato all’arte rappresentativa. — Non c’è autore novellino che non abbia ricamato in tutti i temi un monologo pesante. — I nostri autori, come nei più dotti libri di anatomia, han passato in rivista nei monologhi tutte le parti del corpo umano; le dita, le unghie, il naso, la mano e persino, pardon.... il piede. Pazienza la mano; se ne può fare un monologo! Eppure, cosa strana, nessuno ha pensato alla voce! Nera ingratitudine, perchè un afono non potrà mai recitare un monologo. È vero che lor signori mi diranno: C’è la mimica! E infatti l’arte del gesto in questi nostri tempi così curiosi e così nevrotici, ha toccato tale vetta da supplire comodamente alla più alta eloquenza. Quale frase, per esempio, può avere maggiore efficacia che questa mimica dichiarazione d’amore? Tu sei bella e io ti amo, voglio darti l’anello nuziale perchè tu viva eternamente con me (mimica). E il canuto genitore che sorprende la prima ballerina in un costume molto adamitico fra le braccia di un figliolo patetico, come meglio potrebbe manifestare la collera che lo invade se non facendo così: Giusto cielo, che veggio io mai? Tu hai coperto di fango la mia fronte canuta, io ti maledico.... e ti scaccio (mimica). E tra parentesi, che nessuno quassù mi ascolti. Quante attrici di mia e di vostra conoscenza vorrebbero possedere nella voce il sentimento intelligente che Virginia Zucchi ha.... nelle gambe! Io ho avuto sempre il lontano sospetto che nella vita pratica il gesto sia più espansivo della parola.... Chiedete, se vi garba, dieci lire in prestito ad un amico napoletano.... ve le negherà graziosamente con un gesto che non ammette replica (gesto). Fate una bella predica coi fiocchi ad un bambino perchè non faccia più.... quella tale o tal’altra cosa, e il bambino non se ne darà per inteso.... dategli uno scapaccione, capirà subito! Con ciò non intenda menomare in nessun modo la grande efficacia della parola. Prima di tutto essa è fatta per nascondere il proprio pensiero. Ed io sono compreso della più alta meraviglia quando penso che Rossini.... vi parlo di una persona di spirito, ne ha voluto disconoscere l’importanza scrivendo nel suo Barbiere: «Una voce poco fa». Poco fa? Ma una voce fa guadagnare dei milioni! Domandatelo alla Patti e a Tamagno. Oh quale magico potere ha quasi sempre la voce! Sempre a proposito di cantanti, qual’è la voce più fortunata? Quella del tenore.... il tenore è sempre amato dalla prima donna, anche quando si vanta «studente povero» o «deserto in sulla terra», persino quando è costretto a scontare col sangue suo l’amore che pose in sè. Invece il povero baritono non è che un amante deluso, un barbaro genitore o un marito che non riesce mai a cantare un duetto.... con sua moglie. E quale tragedia intima quella di un tenore che per malaugurata metamorfosi di voci si riduce a trasformarsi in baritono! Ci pensano, lor signori? Ne ho conosciuto uno che, nel Ballo in maschera, fu assalito da tale onda di ricordi dolorosi, che rivolto al ritratto del principe, proruppe in un.... Una volta ero io che macchiava quell’anima (pausa). Avere una bella voce è.... come possedere un bel patrimonio. Infatti si dice comunemente «ha una voce d’oro, ha una voce d’argento!» Ma cosa dico? si fanno tesori anche con una voce di stagno. Chi di voi non si è sentito trasportare in paradiso alla voce d’oro di Sara Bernhardt? Io ne ho ancora negli orecchi la voce dolcissima (declama imitando). Di che si nutre il giornalismo? delle voci che corrono! E la voce che corre è sempre la vera; perchè la bugia non può correre avendo le gambe corte. Quando un personaggio eminente è liquidato, come si dice? che non ha voce in capitolo. Dante stesso descrivendo l’Inferno non ha trovata espressione più adatta di questa: «Voci alte e fioche e suon di man con elle». Ciò mi ricorda un mio maestro che commentava quel verso così: «Manconelle istrumento primitivo». Questo brav’uomo che nutriva per la musica una passione tanto violenta quanto poco corrisposta, e non distingueva facilmente un soprano da un corno, aveva ideato di applicare alla Divina Commedia le più divine armonie del nostro patrimonio lirico. Essendo quello il poema nazionale, gli pareva naturale che dovesse raccogliere tutta la musica italiana! Ebbene, quell’animale grazioso e benigno traeva da questa sua scoperta degli effetti curiosissimi. Un esempio: il Ruy Blas applicato al Conte Ugolino (cantando): «Tu dei saper ch’io fui il Conte Ugolino e questi è l’arcivescovo Ruggeri». A proposito, il povero Conte Ugolino, forse, non è stato condannato a quella tal miseranda fine come un qualunque contribuente italiano a causa della sua voce? Quanto a me, ho sempre sostenuto e sostengo che la voce, e non gli occhi, è lo specchio dell’anima; prova ne sia che ci sono le lacrime nella voce. Eppoi le attrici hanno tutte le voci (imitando la Duse). Una cosa sola è certa, che la voce è il carattere. Un celebre psichiatra lasciò scritto che dalla voce s’intuisce l’onestà della donna. E infatti io ho conosciuto una cara donnina dalla voce azzurra, incantevole, verginale che aveva.... lasciamola lì.... E la voce del dovere? Signore e signori, dove la lasciamo? quella gran voce che ci fa fare tante cose.... che non si dovrebbero fare! E la voce del sangue? Ma ecco che ad un tratto io sento qui l’eco di un’altra voce, la voce del rimorso. Sì, gentili signori e amabilissime signore, il rimorso atroce di averli così lungamente annoiati con la facile pretensione di dire delle cosette originali o almeno graziose, mentre, sia detto inter nos, non ho fatto altro che mettere delle voci.... sconclusionate. Oh se questo pubblico colto e gentile sentisse per la mia audacia, la voce dello sdegno? Come dovrei rimpiangere di non essere nato completamente afono! Basta, basta per questa sera. Io smetto le «voci alte e fioche», ma a patto di sentire ""suon di man con elle " !Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin)

Pensierino del giorno (12) 18 febbraio 2014

Barca prevede che tra un mese il Paese va di testa !.......Ma è una preoccupazione o una speranza???

lunedì 17 febbraio 2014

LA TRAPPOLA........un altro grande monologo di L.Pirandello !

No, no, come rassegnarmi? E perché? Se avessi qualche dovere verso altri, forse sì. Ma non ne ho! E allora perché?
Stammi a sentire. Tu non puoi darmi torto. Nessuno, ragionando così in astratto, può darmi torto. Quello che sento io, senti anche tu, e sentono tutti.
Perché avete tanta paura di svegliarvi la notte? Perché per voi la forza alle ragioni della vita viene dalla luce del giorno. Dalle illusioni della luce.
Il bujo, il silenzio, vi atterriscono. E accendete la candela. Ma vi par triste, eh? triste quella luce di candela. Perché non è quella la luce che ci vuole per voi. Il sole! il sole! Chiedete angosciosamente il sole, voialtri! Perché le illusioni non sorgono più spontanee con una luce artificiale, procacciata da voi stessi con mano tremante.
Come la mano, trema tutta la vostra realtà. Vi si scopre fittizia e inconsistente. Artificiale come quella luce di candela. E tutti i vostri sensi vigilano tesi con ispasimo, nella paura che sotto a questa realtà, di cui scoprite la vana inconsistenza, un'altra realtà non vi si riveli, oscura, orribile: la vera. Un alito... che cos'è? Che cos'è questo scricchiolio?
E, sospesi nell'orrore di quell'ignota attesa, tra brividi e sudorini, ecco davanti a voi in quella luce vedete nella camera muoversi con aspetto e andatura spettrale le vostre illusioni del giorno. Guardatele bene; hanno le vostre stesse occhiaje enfiate e acquose, e la giallezza della vostra insonnia, e anche i vostri dolori artritici. Sì, il rodio sordo dei tofi alle giunture delle dita.
E che vista, che vista assumono gli oggetti della camera! Sono come sospesi anch'essi in una immobilità attonita, che v'inquieta.
Dormivate con essi lì attorno.
Ma essi non dormono. Stanno lì, così di giorno, come di notte.
La vostra mano li apre e li chiude, per ora. Domani li aprirà e chiuderà un'altra mano. Chi sa quale altra mano... Ma per loro è lo stesso. Tengono dentro, per ora, i vostri abiti, vuote spoglie appese, che hanno preso il grinzo, le pieghe dei vostri ginocchi stanchi, dei vostri gomiti aguzzi. Domani terranno appese le spoglie aggrinzite d'un altro. Lo specchio di quell'armadio ora riflette la vostra immagine, e non ne serba traccia; non serberà traccia domani di quella d'un altro.
Lo specchio, per sé, non vede. Lo specchio è come la verità.
Ti pare ch'io farnetichi? ch'io parli a mezz'aria? Va' là, che tu m'intendi; e intendi anche più ch'io non dica, perché è molto difficile esprimere questo sentimento oscuro che mi domina e mi sconvolge.
Tu sai come ho vissuto finora. Sai che ho provato sempre ribrezzo, orrore, di farmi comunque una forma, di rapprendermi, di fissarmi anche momentaneamente in essa.
Ho fatto sempre ridere i miei amici per le tante... come le chiamate? alterazioni, già, alterazioni de' miei connotati. Ma avete potuto riderne, perché non vi siete mai affondati a considerare il mio bisogno smanioso di presentarmi a me stesso nello specchio con un aspetto diverso, di illudermi di non esser sempre quell'uno, di vedermi un altro!
Ma sì! Che ho potuto alterare? Sono arrivato, è vero, anche a radermi il capo, per vedermi calvo prima del tempo; e ora mi sono raso i baffi, lasciando la barba; o viceversa; ora mi sono raso baffi e barba; o mi son lasciata crescer questa ora in un modo, ora in un altro, a pizzo, spartita sul mento, a collana...
Ho giocato coi peli.
Gli occhi, il naso, la bocca, gli orecchi, il torso, le gambe, le braccia, le mani, non ho potuto mica alterarli. Truccarmi, come un attore di teatro? Ne ho avuto qualche volta la tentazione. Ma poi ho pensato che, sotto la maschera, il mio corpo rimaneva sempre quello... e invecchiava!
Ho cercato di compensarmi con lo spirito. Ah, con lo spirito ho potuto giocar meglio!
Voi pregiate sopra ogni cosa e non vi stancate mai di lodare la costanza dei sentimenti e la coerenza del carattere. E perché? Ma sempre per la stessa ragione! Perché siete vigliacchi, perché avete paura di voi stessi, cioè di perdere - mutando - la realtà che vi siete data, e di riconoscere, quindi, che essa non era altro che una vostra illusione, che dunque non esiste alcuna realtà, se non quella che ci diamo noi.
Ma che vuol dire, domando io, darsi una realtà, se non fissarsi in un sentimento, rapprendersi, irrigidirsi, incrostarsi in esso? E dunque, arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione, mentre la vita è flusso continuo, incandescente e indistinto.
Vedi, è questo il pensiero che mi sconvolge e mi rende feroce!
La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma.
Ogni forma è la morte.
Tutto ciò che si toglie dallo stato di fusione e si rapprendende in questo flusso continuo, incandescente e indistinto, è la morte.
Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non s'arresta mai, e fissati per la morte.
Dura ancora per un breve spazio di tempo il movimento di quel flusso in noi, nella nostra forma separata, staccata e fissata; ma ecco, a poco a poco si rallenta; il fuoco si raffredda; la forma si dissecca; finché il movimento non cessa del tutto nella forma irrigidita.
Abbiamo finito di morire. E questo abbiamo chiamato vita!
Io mi sento preso in questa trappola della morte, che mi ha staccato dal flusso della vita in cui scorrevo senza forma, e mi ha fissato nel tempo, in questo tempo!
Perché in questo tempo?
Potevo scorrere ancora ed esser fissato più là, almeno, in un'altra forma, più là... Sarebbe stato lo stesso, tu pensi? Eh sì, prima o poi... Ma sarei stato un altro, più là, chi sa chi e chi sa come; intrappolato in un'altra sorte; avrei veduto altre cose, o forse le stesse, ma sotto aspetti diversi, diversamente ordinate.
Tu non puoi immaginare l'odio che m'ispirano le cose che vedo, prese con me nella trappola di questo mio tempo; tutte le cose che finiscono di morire con me, a poco a poco! Odio e pietà! Ma più odio, forse, che pietà.
È vero, sì, caduto più là nella trappola, avrei allora odiato quell'altra forma, come ora odio questa; avrei odiato quell'altro tempo, come ora questo, e tutte le illusioni di vita, che <I>noi morti d'ogni tempo</I> ci fabbrichiamo con quel po' di movimento e di calore che resta chiuso in noi, del flusso continuo che è la vera vita e non s'arresta mai.
Siamo tanti morti affaccendati, che c'illudiamo di fabbricarci la vita.
Ci accoppiamo, un morto e una morta, e crediamo di dar la vita, e diamo la morte... Un altro essere in trappola!
- Qua, caro, qua; comincia a morire, caro, comincia a morire... Piangi, eh? Piangi e sguizzi... Avresti voluto scorrere ancora? Sta' bonino, caro! Che vuoi farci? Preso, co-a-gu-la-to, fissato... Durerà un pezzetto! Sta' bonino...
Ah, finché siamo piccini, finché il nostro corpo è tenero e cresce e non pesa, non avvertiamo bene d'esser presi in trappola! Ma poi il corpo fa il groppo; cominciamo a sentirne il peso; cominciamo a sentire che non possiamo più muoverci come prima.
Io vedo, con ribrezzo, il mio spirito dibattersi in questa trappola, per non fissarsi anch'esso nel corpo già leso dagli anni e appesito. Scaccio subito ogni idea che tenda a raffermarsi in me; interrompo subito ogni atto che tenda a divenire in me un'abitudine; non voglio doveri, non voglio affetti, non voglio che lo spirito mi s'indurisca anch'esso in una crosta di concetti. Ma sento che il corpo di giorno in giorno stenta vie più a seguire lo spirito irrequieto; casca, casca, ha i ginocchi stanchi e le mani grevi... vuole il riposo! Glielo darò.
No, no, non so, non voglio rassegnarmi a dare anch'io lo spettacolo miserando di tutti i vecchi, che finiscono di morir lentamente. No. Ma prima... non so, vorrei far qualche cosa d'enorme, d'inaudito, per dare uno sfogo a questa rabbia che mi divora.
Vorrei, per lo meno... - vedi queste unghie? affondarle nella faccia d'ogni femmina bella che passi per via, stuzzicando gli uomini, aizzosa.
Che stupide, miserabili e incoscienti creature sono tutte le femmine! Si parano, s'infronzolano, volgono gli occhi ridenti di qua e di là, mostrano quanto più possono le loro forme provocanti; e non pensano che sono nella trappola anch'esse, fissate anch'esse per la morte, e che pur l'hanno in sé la trappola, per quelli che verranno!
La trappola, per noi uomini, è in loro, nelle donne. Esse ci rimettono per un momento nello stato di incandescenza, per cavar da noi un altro essere condannato alla morte. Tanto fanno e tanto dicono, che alla fine ci fanno cascare, ciechi, infocati e violenti, là nella loro trappola.
Anche me! Anche me! Ci hanno fatto cascare anche me! Ora, di recente. Sono perciò così feroce.
Una trappola infame! Se l'avessi veduta... Una madonnina. Timida, umile. Appena mi vedeva, chinava gli occhi e arrossiva. Perché sapeva che io, altrimenti, non ci sarei mai cascato.
Veniva qua, per mettere in pratica una delle sette opere corporali di misericordia: visitare gl'infermi. Per mio padre, veniva; non già per me; veniva per aiutare la mia vecchia governante a curare, a ripulire il mio povero padre, di là...
Stava qui, nel quartierino accanto, e s'era fatta amica della mia governante, con la quale si lagnava del marito imbecille, che sempre la rimbrottava di non esser buona a dargli un figliuolo.
Ma capisci com'è? Quando uno comincia a irrigidirsi, a non potersi più muovere come prima, vuol vedersi attorno altri piccoli morti, teneri teneri, che si muovano ancora, come si moveva lui quand'era tenero tenero; altri piccoli morti che gli somiglino e facciano tutti quegli attucci che lui non può più fare.
È uno spasso lavar la faccia ai piccoli morti, che non sanno ancora d'esser presi in trappola, e pettinarli e portarseli a spassino.
Dunque, veniva qua.
- Mi figuro, - diceva con gli occhi bassi, arrossendo, - mi figuro che strazio dev'esser per lei, signor Fabrizio, vedere il padre da tanti anni in questo stato!
- Sissignora, - le rispondevo io sgarbatamente, e le voltavo le spalle e me n'andavo.
Sono sicuro, adesso, che appena voltavo le spalle per andarmene, lei rideva, tra sé, mordendosi il labbro per trattenere la risata.
Io me n'andavo perché, mio malgrado, sentivo d'ammirar quella femmina, non già per la sua bellezza (era bellissima, e tanto più seducente, quanto più mostrava per modestia di non tenere in alcun pregio la sua bellezza); la ammiravo, perché non dava al marito la soddisfazione di mettere in trappola un altro infelice.
Credevo che fosse lei; e invece, no; non mancava per lei; mancava per quell'imbecille. E lei lo sapeva, o almeno, se non proprio la certezza, doveva averne il sospetto. Perciò rideva; di me, di me rideva, di me che l'ammiravo per quella sua presunta incapacità. Rideva in silenzio, nel suo cuore malvagio, e aspettava. Finché una sera...
Fu qua, in questa stanza.
Ero al bujo. Sai che mi piace veder morire il giorno ai vetri d'una finestra e lasciarmi prendere e avviluppare a poco a poco dalla tenebra, e pensare: - «Non ci sono più!» pensare: - «Se ci fosse uno in questa stanza, si alzerebbe e accenderebbe un lume. Io non accendo il lume, perché non ci sono più. Sono come le seggiole di questa stanza, come il tavolino, le tende, l'armadio, il divano, che non hanno bisogno di lume e non sanno e non vedono che io sono qua. Io voglio essere come loro, e non vedermi e dimenticare di esser qua».
Dunque, ero al bujo. Ella entrò di là, in punta di piedi, dalla camera di mio padre, ove aveva lasciato acceso un lumino da notte, il cui barlume si soffuse appena appena nella tenebra quasi senza diradarla, a traverso lo spiraglio dell'uscio.
Io non la vidi; non vidi che mi veniva addosso. Forse non mi vide neanche lei. All'urto, gittò un grido; finse di svenire, tra le mie braccia, sul mio petto. Chinai il viso; la mia guancia sfiorò la guancia di lei; sentii vicino l'ardore della sua bocca anelante, e...
Mi riscosse, alla fine, la sua risata. Una risata diabolica. L'ho qua ancora, negli orecchi! Rise, rise, scappando, la malvagia! Rise della trappola che mi aveva teso con la sua modestia; rise della mia ferocia: e d'altro rise, che seppi dopo.
È andata via, da tre mesi, col marito promosso professor di liceo in Sardegna.
Vengono a tempo certe promozioni.
Io non vedrò il mio rimorso. Non lo vedrò. Ma ho la tentazione, in certi momenti, di correre a raggiungere quella malvagia e di strozzarla prima che metta in trappola quell'infelice cavato così a tradimento da me.
Amico mio, sono contento di non aver conosciuto mia madre. Forse, se l'avessi conosciuta, questo sentimento feroce non sarebbe nato in me. Ma dacché m'è nato, sono contento di non aver conosciuto mia madre.
Vieni, vieni; entra qua con me, in quest'altra stanza. Guarda!
Questo è mio padre.
Da sette anni, sta lì. Non è più niente. Due occhi che piangono; una bocca che mangia. Non parla, non ode, non si muove più. Mangia e piange. Mangia imboccato; piange da solo; senza ragione; o forse perché c'è ancora qualche cosa in lui, un ultimo resto che, pur avendo da settantasei anni principiato a morire, non vuole ancora finire.
Non ti sembra atroce restar così, per un punto solo, ancora preso nella trappola, senza potersi liberare?
Egli non può pensare a suo padre che lo fissò settantasei anni addietro per questa morte, la quale tarda così spaventosamente a compirsi. Ma io, io posso pensare a lui; e penso che sono un germe di quest'uomo che non si muove più; che se sono intrappolato in questo tempo e non in un altro, lo debbo a lui!
Piange, vedi? Piange sempre così... e fa piangere anche me! Forse vuol essere liberato. Lo libererò, qualche sera, insieme con me. Ora comincia a far freddo; accenderemo, una di queste sere, un po' di fuoco... Se ne vuoi profittare...
No, eh? Mi ringrazii? Sì, sì, andiamo fuori, andiamo fuori, amico mio. Vedo che tu hai bisogno di rivedere il sole, per via.


Questo testo si svolge come un discorso interiore di un uomo, Fabrizio, convinto che la vita sia una Trappola perché conduce sempre alla morte. L’uomo è diviso tra la vita e l’apparenza, la forma. La forma è un concetto fondamentale in Pirandello perché l’uomo secondo lui, non è mai sé stesso ma si sforza di recitare sempre una parte. Per Fabrizio, le donne sono lo strumento diabolico del destino perché attirano l’uomo spingendolo a riprodursi e a generare altri infelici che saranno comunque in Trappola. Anche lui è stato sedotto da una donna sposata, che non poteva avere figli e che ha strappato a lui una gravidanza per poi andarsene con il marito. Fabrizio rimarrà da solo con il vecchio padre malato e paralizzato, condannato a quella sorte dal padre di suo padre che inconsapevolmente lo ha generato 76 anni prima. Per Fabrizio, infatti ogni genitore è il boia della creatura che genera e che dice di amare perché la condanna a morte.
La novella di Pirandello è un monologo di un individuo anonimo, che confessa ad un imprecisato interlocutore le proprie ossessioni. Nell'opera vi si afferma innanzi tutto l’inconsistenza della persona, che è una costruzione artificiale, una realtà che noi stessi si diamo e che maschera una realtà più vera e più profonda. Ma darsi una realtà vuol dire fissarsi, rappresentarsi, irrigidirsi. Mentre la realtà è <vita>, un <flusso continuo, incandescente e indistinto>, assumere una personalità individuale vuol dire staccarsi da questo flusso, fissarsi in una forma, quindi cominciare a morire. Ogni condizione individuale è una <trappola> che ci imprigiona, staccandoci dal movimento vitale. Queste <trappole> per il Pirandello sono le istituzioni sociali come la famiglia oppressiva e soffocante e il lavoro monotono e meccanico che mortifica e intristisce l’uomo. Ai miseri esseri prigionieri del meccanismo sociale non si propone alcuna vera via d’uscita.

L'odio delle generazioni....umiliate!!!

Nella realtà sociale del nostro Paese continua ad essere spesso sottaciuto il problema di intere generazioni di giovani dimenticati, delusi e umiliati dall'arroganza di quelle generazioni di anziani che hanno "occupato" il potere negli ultimi 30 anni!!!  Nel linguaggio del parlamentare grillino Di Battista....era fin troppo evidente..l'odio non solo nei riguardi  di una intera classe politica,ma anche nei riguardi di quelle generazioni di padri e nonni che hanno non solo determinato la rovina economica del Paese ma anche soffocato le potenzialità, le competenze e l'entusiasmo di quei trentenni e quarantenni che oggi gridano vendetta !!! Si potrà non essere d'accordo con il programma grillino ma è evidente tuttavia che "il tutti a casa" del comico genovese coglie lo stato d'animo e il desiderio di rivolta di quei giovani umiliati da una classe dirigente, che, a tutti i livelli, ha demolito il patrimonio culturale, morale e civile del nostro Paese ! Sono tanti ormai coloro che si rendono conto dei danni morali, economici e sociali provocati da una insulsa e corrotta classe dirigente allorchè improvvisamente si scopre che giovani preparati e ricchi di passione politica sono stati relegati in una condizione servile di umiliazione professionale e morale! Mi sono chiesto.....quanti sono oggi nel nostro Paese i Di Battista che si presentano forse con un linguaggio che non ammette repliche...quasi arrogante, ma che certamente è il frutto di uno stato d'animo di grande sofferenza morale e psicologica??? E' questo oggi il dramma di giovani che non sono più disposti a "costruire" insieme con gli anziani il futuro dopo tante ...troppe illusioni e che non accettano più il dialogo nemmeno con qualche coetaneo ammesso nelle stanze del potere e perciò ritenuto omologato e perfettamente integrato nel sistema!!!

La cittadinanza e la sudditanza......non sono la stessa cosa !

Il ventennio berlusconiano ci ha lasciato in eredità non solo la devastazione dei valori politici e morali ma anche una generalizzata condizione di sudditanza rispetto a chi esercita il potere "da padrone delle ferriere"! Incarichi e nomine nei posti nevralgici del potere sono stati distribuiti a chi dimostrava la propria fedeltà al padrone e a chi aveva dato prova del più bieco servilismo! Un sistema di potere e una rete inestricabile di affari che hanno contaminato anche il partito democratico non solo nei gruppi dirigenti a livello nazionale ma anche nelle strutture di base del partito denominate "circoli", probabilmente perchè le intese affaristiche dovevano .....circolare nel gruppetto degli amici degli amici in stretta connessione con il notabile di turno! La Politica è stata massacrata proprio dove doveva celebrare il suo trionfo cioè nei circoli nel momento dei vari congressi in cui le varie mozioni sono diventate carta straccia, sacrificate alla conta di iscritti inesistenti e di delegati-sudditi dei vari Kapo, impegnati a prendere possesso delle varie poltrone a cominciare dalle segreterie e dei vari direttivi di circolo. Sia a destra che a sinistra aleggia quà e là  la paura del suddito, che non riesce a rialzare la schiena in quanto schiacciato da chi, senza alcun pudore, utilizza il potere economico personale per comprare e per corrompere e da chi, in ragione del proprio ruolo, mette in atto il sistema del voto di scambio! Sudditanza e paura investono soprattutto i giovani ,che non avendo nemmeno una personale autonomia economica, si guardano bene dal contrastare il notabile o il faccendiere di turno! Chi pone il problema di una cittadinanza irrispettosa del potere o di un risveglio culturale e politico in questo momento storico rischia di fare la figura del don Chisciotte ! Chi critica o dissente è spesso considerato "voce fuori dal coro" , un folle che non sa quel che dice. Don Sturzo a chi aveva paura si rivolgeva con il suo motto "siate liberi e forti".......è un messaggio che va indirizzato a tutti indistintamente.....alle varie associazioni anch'esse attanagliate dalla paura, sia quelle laiche che quelle religiose, ai giovani che si sentono umiliati, a chi in ragione del proprio ruolo potrebbe operare per una società più libera e più democratica. Si tratta di non lasciare solo chi opera per il cambiamento e soprattutto di acquisire la consapevolezza che tutti insieme è possibile far crollare il potere degli analfabeti politici e degli affaristi !!!

Pensierino del giorno (11) 17 febbraio 2014

Nel totoministri tanti no...troppi no a Renzi..........ma improvvisamente non sono più molto gradite le poltrone o si prevede un fallimento a breve scadenza dell'avventura renziana???

domenica 16 febbraio 2014

Pensierino del giorno (10) 16 Febbraio 2014

Un mondo, oggi, che ha sempre più bisogno di .....specialisti........ma sono sempre più in aumento.........i tuttologi !!!

sabato 15 febbraio 2014

LA PERCEZIONE POSITIVA DEI DOLORI........LA FELICITA' PER SCHOPENHAUER !

Potrebbe sembrare una contraddizione parlare di felicità in Schopenhauer. Ma la ricerca della felicità rappresenta il naturale sviluppo del suo pensiero proprio perchè l'unica possibilità che l'uomo ha per vivere felicemente è essere consapevole della sofferenza e del dolore per cercare di evitarli. Vediamo allora in cosa consiste la felicità per Schopenhauer.

Il primo elemento è la salute, intesa non soltanto come benessere fisico ma anche come salute mentale, ovvero un temperamento calmo, un' 'intelligenza penetrante, una volontà moderata e flessibile, una coscienza tranquilla'. Tutte queste capacità hanno un valore incommensurabile rispetto alle ricchezze materiali perchè mentre quest'ultime sono sempre soggette ai capricci del destino, la nostra personalità, ovvero ciò che noi siamo, non può esserci sottratta. Il che non implica l'indifferenza verso il guadagno di ciò che ci spetta, bensì che non dovremmo desiderare la sovrabbondanza di ricchezze (che anzi portano con sè preoccupazioni per la loro conservazione). Per questo per Schopenhauer la 'più grave stoltezza è sacrificare la propria vita per il guadagno, per la carriera, per la fama o per i piaceri effimeri'.

Una vita felice corrisponde allora ad una vita serena, ovvero nel cercare di sfuggire alle sofferenze, ai turbamenti e ai dolori. 'I piaceri sono e restano - dice Schopenhauer - qualcosa di negativo [...]. I dolori invece devono essere percepiti positivamente: la loro assenza è il criterio per valutare una vita felice'. Per superare i due grandi nemici della felicità, ovvero il dolore e la noia, Schopenhauer suggerisce di limitare le nostre aspirazioni: in questo modo da un lato ci esponiamo di meno alle preoccupazioni, ai desideri e alle paure, e dall'altro impariamo a valorizzare ciò che è più importante per la nostra serenità: ovvero 'lo sviluppo di un carattere nobile, di una mente capace, di un temperamento gioviale, di un animo sereno, di un corpo perfettamente sano'.

Possedere tutte queste caratteristiche vuol dire per Schopenhauer bastare a sè stessi. Ciò consente inoltre di vivere sottraendosi alle illusioni, alle sofferenze e alle menzogne quotidiane della vita sociale. Per il filosofo la socievolezza è un 'espediente di cui gli uomini si servono per dare sollievo al proprio vuoto spirituale'. Tuttavia è molto difficile trovare in sè stessi la felicità a causa dell'influenza sulla nostra volontà della sensibilità e dell'irrequitezza che ci portano a cercare nelle relazioni con gli altri quegli stimoli e quelle distrazioni per rendere più sopportabile la nostra vita.

Infine, le ultime due capacità che contraddistinguono l'uomo felice e sereno secondo Schopenhauer sono la calma ed il coraggio. La prima consiste nel rapportarsi alle nostre gioie e dolori senza farsene travolgere. Si tratta dell'atteggiamento degli stoici per cui l'uomo 'non deve essere mai dimentico della condizione umana, ma deve essere sempre memore che l'esistenza umana è una ben triste e miseranda sorte'. E proprio per questo motivo accanto alla prudenza Schopenhauer pone il coraggio di vivere, perchè 'in questo mondo bisogna avere un carattere di ferro, corazzato contro il destino e armato contro gli uomini. L'intera vita è una battaglia e il nostro motto deve essere: "Non cedere ai mali, ma affrontali con audacia" (Virgilio, Eneide)'.