La riproduzione di se medesimo, da qualunque lato si consideri, è un’aspirazione umana e una necessità sociale.
L’uomo ha sempre avuto un desiderio acuto e naturale di tirare sè
stesso a uno o parecchi esemplari. A raggiungere tale scopo, un tempo
non esisteva che un sistema: quello d’aver dei figli. Ma poi.... non
somigliavano. Ora invece si ricorre alla fotografia. La quale, diciamolo
pure, ha invaso e sottomesso l’intera umanità, non senza causare
frequenti disastri. Anzi, a questo proposito, sono assalito da tremendi
ricordi. Anni addietro, ebbi la malattia della romanità, che sarebbe
come una specie di mal di denti al cervello. Da principio, il malato non
ha che qualche brivido nei musei del Campidoglio, poi un’affezione ai
bronchi del Colosseo con chiari
di luna. In capo a un mese, il bacillo archeologico ha fatto progressi spaventevoli. Le guance del malato prendono una tinta
Gregorovius,
e sente sopra lo stomaco le terme di Caracalla. La malattia fa il suo
Corso, anzi, la sua via Appia: e il malato è ridotto a frequentare il
palazzo dei Cesari, località pericolosa assai per il cervello umano,
poichè è necessario tutto ricostrurre con la fantasia, anche ciò che non
è mai esistito. Ricordo un cicerone coscienzioso che diceva a certi
inglesi:
— Vedono lì quel magnifico monumento che non c’è? Quello è il monumento di Vespasiano.
Un giorno, mentre giravo per la
domus aurea, che non esiste,
vidi una signora solitaria la quale ascendeva la scalinata ciclopica
della Rocca d’Evandro. Era lei! una lei che non mi conosceva affatto, ma
che io adoravo ugualmente. Non era bella, ma d’una eleganza suprema. Un
paio d’occhi.... un paio d’orecchi.... un paio di vite.... no, una
sola, ma che vita! per quella vita avrei dato la mia.
Ella non mi vide, perchè nascosto
dietro
un muricciolo che può essere tanto il muro greggio di un orto, quanto
il palazzo imperiale di Tiberio: e piano e pensosa si fermò a quel
crocevia dove è fama che Cassio Cherea, desideroso di offrire una
tragedia a
Raffaello Giovagnoli, abbia trucidato l’imperatore Caligola.
Quando la vidi immersa nelle meditazioni storiche, mi accostai alle sue spalle e le dissi:
— Sì! questo è il punto dell’assassinio!
Ella mandò un grido di spavento, mentre io balbettavo:
—
Pardon! Si tratta di Caligola.... qui Cassio alla testa dei
congiurati.... qui un congiurato alla testa di Cassio.... via, si faccia
coraggio; forse non è vero niente.
Basta! mezz’ora dopo eravamo tanto amici che mi permise
d’accompagnarla dalla via Sacra al portone meno sacro di casa sua. Anzi,
ricordo che nella via Sacra scivolai e mi feci male giusto all’osso
che.... da quella via prende il nome (
si tasta dietro). Qualche giorno appresso, fui regolarmente presentato al marito,
il quale era tanto una brava persona. Senonchè, una sera, in piazza Colonna si avvicinò un noioso venditore di
Ricordi di Roma.
Per levarmelo d’attorno, mi venne l’idea di regalare al coniugi uno di
quei ricordi, per la modica spesa di sessanta centesimi. Non l’avessi
mai fatto! Proprio la prima fotografia era il fatale crocevia di
Caligola, in fondo a cui si vedevano due figure di diverso sesso, in
attitudine alquanto, forse molto sospetta. La fatalità ci aveva
trascinato sotto l’obbiettivo d’un fotografo inconsapevole.
Io mi turbai. Ella si turbò. Il marito si conturbò. Morale: il
palazzo dei Cesari è tutto una rovina.... anche per la pace domestica.
Dunque le azioni dell’uomo giusto devono essere tali da potersi
impunemente riprodurre in fotografia. Ma non basta neppure essere
giusti. Mentre l’arte del fotografo ha fatto progressi enormi, un’arte
sorella è rimasta nella barbarie; l’arte di farsi fotografare.
Basta sfogliare un album di fotografie, per rimanere oltremodo inorriditi davanti all’ignoranza di quelle persone
che
hanno creduto di farsi fare un ritratto. Tutti artificiosi! tutti
posatori! L’uomo o la donna che s’abbandona alla fotografia
dovrebb’essere una persona tranquilla e semplice come una figura
giottesca. Errore, e dei più gravi, è l’indossare un abito nuovo o
raramente usato. L’abito nuovo è un grande nemico dell’uomo. La persona
che porta a spasso un abito nuovo ha sempre la fisonomia contraffatta.
Egli ha un occhio che ride e uno che piange. L’occhio destro sorride
all’abito nuovo e lo ammira specchiandosi nelle vetrine dei negozi: ma
l’occhio sinistro ha paura di quella macchia che ovunque pende sui
soprabiti nuovi, come quella spada di Damocle che, tanto per cambiare,
chiamerei la dama di Spadocle. È inutile! l’uomo oppresso da un abito
nuovo, ha un’andatura diversa dalla solita: una maniera diversa di
pensare.... Che più? un abito nuovo può cambiare persino, violentemente,
il corso fatale della vita d’un individuo. Supponiamo un caso dei più
comuni.
È una bella domenica....
(Non so se abbiate notato che la
domenica è bella sempre, mentre un Domenico bello io non l’ho mai conosciuto).
Dunque è domenica: io indosso un abito nuovo e lo porto a spasso.
Quando gli è il tocco, vado in trattoria. Il cameriere, che conosce i
miei gusti, mi offre un fricandolino squisito, un fricandolino col sugo
che schizza. A me che ho un soprabito nuovo?... Fossi matto. Mi rassegno
invece a una fetta di arrosto freddo, asciutto e tiglioso, che mi resta
sullo stomaco. Il soprabito è salvo, ma la salute è compromessa. La
sera vado a trovare, mettiamo, la mia fidanzata: ma un uomo che sta male
di stomaco non sa essere galante, e ne segue un ricambio di sgarbi e di
dispetti. Per reazione, vado al circolo a giuocare, e naturalmente
perdo. Così da una parte disperdo il matrimonio, dall’altra disperdo il
patrimonio. Allora divento irascibile. Perchè ho un carattere originale,
molto diverso dagli altri: per esempio, quando perdo.... son di cattivo
umore!
Nasce una questione con un compagno di gioco: dalla questione nasce una sfida: all’alba si va sul terreno e
l’avversario
mi fa cinque o sei buchi sul soprabito che ho salvato dal fricandolino.
Un individuo vestito di nuovo, per ciò, è quasi sempre in punto di
morte. Come può mai un agonizzante essere in grado di farsi fare un
ritratto in fotografia?
Altro sbaglio, non meno grave, quello di consegnar la testa al
barbiere prima che al fotografo: sbaglio grave farsi lisciare i capelli,
specialmente quando non se ne ha; farsi lisciare o tingere i baffi,
procurarsi cioè una faccia artificiale, di breve durata, quasi per
mistificare il fotografo, come a dirgli:
— Desidero un ritratto che, fra qualche ora, non abbia più alcuna rassomiglianza con me.
Nel momento supremo poi tutti cadono in uno sbaglio fondamentale:
dimenticano di dimenticare che stanno davanti al fotografo, così che il
ritratto ha l’impronta odiosa d’un uomo che sa di farsi fare il
ritratto.
L’ideale sarebbe di poter dire al fotografo:
— Vi do tempo due mesi, sei, un anno; prendetemi nel momento opportuno e
senza che io me ne accorga, fotografatemi.
Sistema eccellente, ma inattuabile, tanto più per le signore.
Una signora ha sempre dei momenti in cui non desidera essere sorpresa da nessuno, neppure da un fotografo.
Un ripiego ci sarebbe: ossia l’istituzione del.... buco. Mi spiego.
Ogni stabilimento fotografico dovrebbe avere un salone d’aspetto, che
chiamerei la sala delle anime inconsapevoli. Mentre il cliente aspetta,
da un buco invisibile il fotografo potrebbe ritrattarlo a sua insaputa,
col soccorso dell'
istantanea. Ma allora tutti i ritratti
rappresenterebbero, con desolante monotonia, un uomo che aspetta, e
l’uomo che aspetta non ha più la sua faccia, ma la faccia dell’uomo che
si rompe le scatole.
Conviene dunque concludere che tra la fotografia e la specie umana
esiste ancora un abisso, e in attesa di tempi migliori converrà prendere
una via di mezzo: usare della fotografia, ma non abusarne.
Non far, cioè, come quei due
innamorati i quali, per non essere soverchiati uno dall’altro, andarono incontro a una tragica fine.
Lei mandò a lui un ritratto.
Lui si fece fotografare col ritratto in mano. Lei si fece fotografare
col ritratto in mano di lui che teneva in mano il di lei ritratto.
Lui si fece fare il ritratto col ritratto in mano di lei, che teneva
in mano il ritratto di lui, che teneva il ritratto in mano di lei.
Lei ancora....
Ma basta! tanto amore si spense in un lago d’odio e di collodio.
Pensate dunque ai gravi pericoli, e nel momento supremo del ritratto,
prima alzate gli occhi al cielo, raccomandatevi caldamente alla
Provvidenza e poi andate a farvi fotografare tutti quanti.
di L.A. V.