giovedì 28 gennaio 2016

NON ESISTE LA FAMIGLIA "NATURALE"!

MA NO....NON ESISTE LA FAMIGLIA "NATURALE"! La famiglia composta da un uomo, una donna e i loro figli è solo una delle forme, molteplici, che ha assunto e che può assumere l’istituzione matrimoniale. Non c’è quindi nulla di naturale in essa, tale da farne la forma di famiglia per eccellenza, e tanto meno «la famiglia voluta da Dio», rispetto a altre forme di unione. Di conseguenza, la legge sul riconoscimento delle unioni civili, che estende alcuni diritti (diritti previdenziali e lavorativi, il diritto alla reversibilità della pensione del partner o all’eredità, la possibilità di essere considerati parenti quando i loro compagni o compagne finiscono in ospedale e infine, forse, l’adozione da parte del partner del figlio biologico di uno dei due, già prevista dal 1983 per le coppie eterosessuali unite in matrimonio e dal 2007 per le coppie di fatto eterosessuali) non è un attentato alle fondamenta della società e della convivenza civile, perché il valore della famiglia naturale, quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, non è un valore assoluto. In ciò che segue intendo sostenere la mia convinzione, ben consapevole della difficoltà di smontare qualcosa che è parte del nostro senso comune, di quella comprensione quotidiana di come funziona il mondo, estremamente resistente a ogni scetticismo. Parlare di «famiglia», quale che sia la sua forma, significa entrare nel campo della parentela, ambito di enorme importanza per le società umane, e per questo molto studiato, in modi anche molto approfonditi e articolati, dagli antropologi. L’argomento principe delle posizioni a favore della «famiglia naturale» è dunque l’evidenza di cui sopra, l’evidenza del rapporto di procreazione. Per molto tempo gli stessi antropologi sono rimasti intrappolati in questa evidenza, difficile da scalfire, e hanno sostenuto che la «vera parentela» è quella che viene stabilita a partire dalla nascita, nonostante gli studi empirici attestassero che in molti gruppi umani in molti luoghi si attribuisse lo status di parenti a persone con le quali non sussisteva alcuna relazione biologica. Tuttavia, alla lunga è poi emerso in modo molto netto che qualsiasi relazione di parentela – persino quella, udite, udite, genitoriale - può essere costruita anche dopo la nascita, attraverso azioni o procedure simboliche appropriate culturalmente. Come ha scritto l’antropologo Marshall Sahlins in un libro molto bello (La parentela: cos’è e cosa non è, Eleuthera 2014), «[…] contro questo sedimentato senso comune – l’evidenza della procreazione – dobbiamo sforzarci di capire che le categorie di parentela non sono rappresentazioni o metafore delle relazioni di nascita; piuttosto, è la nascita a essere una metafora delle nostre relazioni di parentela». In altre parole: nessuno mette in discussione che per procreare ci vuole l’unione di un uomo e di una donna. E’ un fatto biologico. Ma è altrettanto evidente che la famiglia, l’insieme di persone che partecipano intimamente gli uni delle vite degli altri, è una costruzione sociale culturalmente significativa che include, certo, le determinazioni biologiche, ma si estende molto al di là della biologia, fino al punto in cui le relazioni «extra nascita”, non biologiche, diventano preponderanti rispetto a quelle di procreazione. In altre parole ancora, la parentela è un sistema simbolico che avvolge, nasconde in molti casi, e riveste di senso il dato biologico, conferendogli l’apparenza di «fatto naturale». Per questo sono così tenaci le nozioni del senso comune relative ai parenti, alla famiglia, al «sangue» e così via. La letteratura antropologica dimostra ampiamente che si tratta di varianti locali – non universali – di formazioni culturali e norme sociali che risolvono il grande problema di assegnare un individuo al momento della nascita a un gruppo, che si prenderà cura di lei/lui, gli/le conferirà diritti e doveri, lo sosterrà in caso di necessità, ecc. ecc. Soprattutto, sarà il gruppo che gli/le fornirà sostegno al momento del matrimonio, cioè quando il nostro individuo (maschio o femmina) si unirà a un altro individuo secondo le procedure e le norme sociali appropriate. In tutte le società umane, infatti, il matrimonio è un’istituzione sociale finalizzata a disciplinare secondo il modello culturale la riproduzione e l’assegnazione dei figli a un gruppo piuttosto che a un altro. Che si tratti di una costruzione sociale, tra l’altro, lo dimostra la grande flessibilità che caratterizza l’unione matrimoniale, e che consente per quanto possibile di porre rimedio a eventuali «scherzi» della natura garantendo la finalità riproduttiva: fra gli Igbo della Nigeria, in caso di sterilità del marito, una donna è autorizzata a avere rapporti sessuali con un altro uomo, e i figli procreati saranno legalmente figli del primo (il padre sociale) e non del secondo (il padre biologico). Fra i Nuer del Sudan, come ha documentato il grande antropologo inglese Evans-Pritchard (I Nuer. Un’anarchia ordinata, 1948), è documentato il matrimonio con il fantasma, per cui, qualora un uomo muoia senza figli oppure prima di sposarsi, un fratello o un cugino può sposarsi con una donna in nome del defunto in modo che i figli siano legalmente figli del defunto. Sempre fra i Nuer, esiste il matrimonio fra donne (privo di connotazioni omosessuali): una donna sterile può contrarre matrimonio con un’altra donna, sceglierle un amante e i figli nati da questa unione saranno figli socialmente riconosciuti della donna-marito, membri del gruppo di quest’ultima. Ci sono anche i fratelli della madre chiamati «madri maschi» (Radcliffe-Brown) e le donne agiate Lovedu che cedono il loro bestiame per acquistare «mogli» e diventare così «padri» dei loro figli. Ancora, i Karembola del Madagascar considerano fratelli e sorelle la stessa cosa, e un uomo può così rivendicare la maternità di un bambino. Come gli uomini possono essere madri, le donne possono essere padri. Niente è impossibile nella parentela della procreazione. Le innumerevoli concezioni culturali della procreazione – tutti «sensi comuni» locali – infatti esprimono idee altamente differenziate del ruolo di genitore e di genitrice. La letteratura attesta per esempio casi di misconoscimento parziale: nelle società patrilineari, in cui cioè ai fini della discendenza conta solo la linea maschile, spesso il ruolo della madre è assai svalutato o non riconosciuto. All’opposto, nelle società matrilineari, in cui cioè ai fini della discendenza conta solo la linea femminile, si rileva l’indifferenza verso il contributo maschile al concepimento (è celebre l’ignoranza del ruolo del padre nelle isole Trobiand attestata dal grande etnografo polacco Bronislaw Malinowski). Ma sono documentati anche casi limite dell’esclusione di entrambi. Sono infatti molteplici le persone che si possono incarnare in un neonato, inclusi gli antenati del clan o del villaggio, mentre può capitare che la madre naturale venga esclusa. Nonostante sia parte integrante del senso comune che i legami di sangue sono naturali, la verità è che sono costruiti per convenzione. La casistica sarebbe infinita. Riporto solo alcuni esempi tratti dalla letteratura etnografica. In Amazzonia, una nascita può anche non coinvolgere alcun tipo di parentela, se quello che la donna porta in grembo è il figlio di un animale (spirito / animale). I Kamea della Nuova Guinea ignorano le connessioni fra i nati e chi li ha concepiti. Fra gli Inuit della Groenlandia, quando un bambino è chiamato con il nome del nonno materno, inizia a chiamare figlia la madre che lo ha partorito, marito di mia figlia il padre e moglie la nonna. Insomma, spessissimo la parentela per procreazione si rivela sostanzialmente uguale alla parentela creata socialmente. Un bell’esempio di questa uguaglianza è riportato da Sahlins nel libro citato sopra: per gli abitanti della Nebilyer Valley (in Nuova Guinea) la parentela è creata dalla trasmissione di kopong, «grasso», materia essenziale di tutti gli organismi viventi. Il kopong, trasmesso dallo sperma del padre e dal latte della madre, crea una relazione sostanziale fra il bambino e i suoi genitori biologici. Bene. Però, dato che il kopong si trova anche nelle patate e nel maiale, lo stesso risultato si può ottenere tramite la condivisione delle vivande. In questo modo, aggiungo un inciso interessante, un figlio o un nipote di stranieri immigrati può essere completamente integrato come parente. C’è di più: le relazioni «biologiche» costruite simbolicamente a volte funzionano meglio di quelle «effettivamente» tali; per esempio, due fratelli germani possono essere più affiatati, vicini e solidali di due fratelli per nascita. E’ sufficiente per affermare che la parentela non discende dalla nascita in quanto tale. Al di là dei legami biologici, reali o presunti, la parentela, questa partecipazione delle persone l’una all’esistenza dell’altra, si costruisce attraverso una grande varietà di modi, significativi. In moltissimi casi, la condivisione del cibo ha la potenzialità di creare parentela. Sono tanti i fattori che contribuiscono alla creazione sociale e culturale di relazioni di parentela fuori dalla nascita. Oltre alla convivialità, contano moltissimo il vivere insieme, la condivisione di esperienze e di ricordi (la parentela è basata su un alto grado di vita fianco a fianco, giorno per giorno, e sullo scambio reciproco di atti di affetto), il lavorare insieme, l’adozione, l’amicizia, le sofferenze comuni (secondo gli Ilongot delle Filippine coloro che condividono una storia di migrazione, condividono un corpo), ecc. Le modalità sono pressoché infinite (legate a particolari logiche culturali di relazione), secondo il principio che se una relazione di parentela non esiste, la si crea. Sempre tra gli Inuit, ultimo esempio, i nati nello stesso giorno sono parenti e così alcuni individui, qualora i loro genitori in passato abbiano avuto una relazione sessuale. Quindi, i legami di sangue hanno un valore solo se sono riconosciuti culturalmente, ma in questo diventano uguali in tutto e per tutto ai legami di vita, creati culturalmente. Per quanto mi riguarda, è sufficiente per ribadire che una cosa come la «famiglia naturale» non esiste… A meno che non si vogliano rispolverare le vecchie teorie razziste e evoluzioniste secondo le quali quelle degli altri sono concezioni errate, superstizioni, bizzarrie, stranezze concettuali, ingenuità, scemenze mentre la verità sta dalla nostra parte. Il resto lo lascio alle riflessioni, in un senso o nell’altro, di ciascuno.

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