E X T R A .....F U O R I !
Nei miei ultimi anni
d'insegnamento spesso sono stato costretto a correggere anche bravi
studenti che,in qualche ricerca sul razzismo, lo definivano, ovviamente
condannandolo, "una esasperazione e un esito violento della xenofobia".
Un’idea forse abbastanza diffusa, che sembra però corrispondere al luogo
comune secondo cui, essendo naturale la paura e la diffidenza verso gli
stranieri, quando una società è costretta a ospitarne troppi, rischia
inevitabilmente l’innescarsi di una reazione difensiva di tipo violento,
definibile come razzismo. In quelle occasioni prima ricordavo ai miei
allievi che spesso le più decise reazioni xenofobe vengono dai Paesi
che hanno una bassissima percentuale di stranieri tra la popolazione,
poi facevo ricorso a una definizione più corretta dei termini. Il
razzismo è un' attitudine al disprezzo e all’odio per le minoranze, che
precede e sfrutta la xenofobia; un contrapporsi agli altri per definire
la propria identità come superiore, offrendo una via d’uscita illusoria a
rabbie e frustrazioni individuali e sociali. Importanti sono:Il libro
di George Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto
(Laterza, 1980) e quello di Riccardo Calimani, Ebrei e pregiudizio.
Introduzione alla dinamica dell’odio (Mondadori, 2000).
E'
paradossale! Tanto più le religioni e le filosofie affermano
l’uguaglianza fra gli uomini e i loro diritti universali, tanto più
grande diventa la necessità di trovare motivazioni sempre più estreme
alla oppressione dell’altro, politicamente o economicamente motivata!
Cosa intendevano i Greci con la parola xénos? Nella meravigliosa
polisemia della lingua greca antica, questa parola non indica solo lo
straniero, ma anche l’ospite e il nemico. Insomma, xénos è lo straniero
che viene tra noi, verso il quale i Greci ritenevano di avere un dovere
di ospitalità, imposto non solo da un costume o da un interesse, ma
dalla stessa religione: l’ospite è sacro, protetto dagli Dei. O meglio, e
qui sta il legame col significato negativo, sacro è il vincolo tra chi
ospita e chi viene ospitato: tradirlo significa trasformare l’ospite in
nemico. Non a caso, la guerra più famosa della mitologia greca, quella
che ha ispirato la prima grande opera della letteratura occidentale, è
scatenata dal tradimento di questo vincolo tra il re di Sparta Menelao e
il principe troiano Paride, che, ospite presso di lui, gli porta via la
moglie. Quel che ci fa paura dello straniero, che ce lo può rendere
nemico, è che possa tradirci e offenderci, portandoci via qualcosa a cui
teniamo. Non ci fidiamo, insomma, o ci fidiamo tanto poco da voler
garantire il rapporto con lui con una sanzione religiosa, fallita la
quale ricorriamo all’opzione violenta.
Non c’era però disprezzo nel
rapporto con lo xénos: Paride era visto al massimo come un principe più
interessato all’amore e alla bellezza che alla guerra, un po’
effeminato, magari... C’è invece un’ambiguità che persiste, nel giudizio
sullo straniero ospite: quel che si teme da lui è, forse più di ogni
altra cosa (e qui interpreto e attualizzo ulteriormente), il suo potere
seduttivo nei confronti degli elementi più deboli della nostra compagine
sociale, fino alla paventata “perdita della nostra identità” : “ci
rubano le donne” o “ci convertiranno alle loro usanze”. E’ come se li
sentissimo più attraenti di noi, salvo giudicarli nello stesso tempo
inferiori a noi per questo o quell’altro aspetto.
Agli stranieri più
diversi per lingua, religione e cultura, i Traci o i Macedoni, ma
anche i Persiani, che pure non erano nè rozzi nè arretrati, i Greci
riservavano un’altra definizione: quella di Barbari.
Lo scontro con
i Persiani fu certamente sentito come uno scontro di civiltà, nella
quale era in gioco però soprattutto il confronto tra istituzioni
politiche: i Greci sentivano le proprie come le sole degne di uomini
liberi e rifiutavano con sdegno l’idea di prostrarsi dinnanzi a un re
come facevano i Persiani.In seguito la grande civiltà ellenistica fu
capace di integrare i “barbari” in un nuovo, fecondissimo, melting pot:
il greco-macedone Alessandro Magno sposò una principessa persiana e
adottò usanze fino ad allora disprezzate dai Greci, la scienza degli
Egizi e dei Babilonesi incontrò la filosofia greca, e questo incontro
portò il sapere antico alle sue massime vette.
Noi oggi usiamo
termini etnici, come ostrogoto o arabo, per indicare un linguaggio
incomprensibile. Insomma, anche per noi, straniero e nemico è colui che
non capiamo, che parla una lingua per noi sconosciuta. Non ci passa
neanche per la mente che anche la nostra è incomprensibile per l’altro!
Extra, fuori, è la radice comune delle parole “straniero”, “estraneo” e
“strano”. Lo straniero è strano perchè ci è estraneo! Certo, la
stranezza può ingenerare anche curiosità, e magari anche meraviglia,
ammirazione, e perfino venerazione (vedi il caso dei poveri Aztechi
dinnanzi agli Spagnoli..). Ma comunque dovremmo ricordare che senza la
curiosità per quelli che stanno fuori dai nostri confini, o da fuori
provengono, la storia umana non avrebbe fatto neanche un passo.I Romani
erano sempre pronti a trasformare in hostes(nemici) i popoli confinanti,
ma facevano anche abbastanza presto a trasformarli, dopo averli vinti e
sottomessi, in alleati e in cittadini: la progressiva romanizzazione
delle province fu talmente spinta che non solo due grandi imperatori del
primo secolo, Traiano e Adriano, venivano dalla Spagna, ma, tra la fine
del primo e per tutto il secondo secolo, diversi imperatori provennero
dalle province africane o orientali, e il millenario della fondazione di
Roma fu celebrato dell’imperatore Filippo l, detto l’Arabo perchè ..
era proprio arabo, nato da uno sceicco nella provincia dell’ Arabia
Petrea. Il suo volto fu eternato in un busto molto realistico ed
espressivo che mostra i tratti marcati coi quali si intendeva
sottolinearne non solo la personalità ma anche l’origine orientale .Dai
barbari del mondo antico allo schiavismo africano
Todorov parlando
del presente,dice: “la paura dei barbari rende il nostro avversario più
forte”, ma soprattutto “rischia di trasformare noi in barbari”! Roma
seppe costruire una civiltà duratura, anche lasciandosi a sua volta
conquistare dalla civiltà dei vinti, riconoscendone il fascino (Graecia
capta ferum vincitorem cepit: dove a definirsi ferus, ovvero rozzo,
selvaggio, era lo stesso romano vincitore!..).
Nel mondo antico,
l’eventuale attribuzione di inferiorità ai popoli stranieri, la
necessità di marchiarli con stereotipi negativi, appare come un fatto
contingente, che ha valore finchè rimangono “esterni”. Oggi, nel
“villaggio globale” in cui viviamo, a sembrarci “straniero” dovrebbe
essere ormai solo un marziano o un venusiano.. Ma sappiamo bene che non è
così. Non lo è neanche dopo duemila anni dall’avvento del
Cristianesimo, nel quale, proclama Paolo di Tarso, “non c’é più né
giudeo né gentile, non c’é più schiavo né libero, non c’é più uomo né
donna”. Eh, magari!
L’indubbio universalismo del messaggio cristiano
rappresenta un immenso progresso nelle relazioni umane e sociali,
davvero una “buona novella” per i diseredati e gli esclusi. Ma
trattandosi di una uguaglianza basata sull’adesione ad un credo
religioso, ben presto si trasforma in un nuovo, potente motore di
esclusione e rifiuto della diversità, soprattutto quando il potere
politico ne fa uno strumento di coesione interna. L’odio verso gli
infedeli, l’impegno a combatterli e distruggerli, che vengono presentati
oggi da certa destra come prerogativa esclusiva del mondo islamico,
hanno segnato per molti secoli anche la storia del Cristianesimo: che
questo sia avvenuto in contraddizione col messaggio evangelico è
certamente vero, ma, pervicacemente, questa verità viene agitata come
motivo di disprezzo verso il mondo islamico e verso il Corano, accusato
di essere, necessariamente e ineliminabilmente, portatore di violenza e
arretratezza.
Fin dal IX secolo, nelle preghiere della Messa del
Venerdì Santo, la parola Giudei non avrebbe avuto necessariamente
un'accezione o un’intenzione offensiva nei confronti degli Ebrei, in
quanto li designava come seguaci del giudaismo e non credenti nella fede
cristiana.Ma il termine "Giudei" suonava,in realtà, alle orecchie dei
fedeli come un richiamo alla perfidia del traditore di Gesù: quanti
sapevano, o sanno, che il Giuda che dà il nome alla terra e alla
religione degli Ebrei non è il Giuda Iscariota dei Vangeli, ma
l’innocente figlio di Giacobbe, capostipite di una delle tribù di
Israele?
Sempre la separatezza imposta con la ghettizzazione
alimenta i sospetti: quella degli Ebrei in Europa non veniva attribuita
all’ostilità cristiana, ma al loro ostinato rifiuto dell’assimilazione.
Le limitazioni imposte alle comunità ebraiche residenti nei paesi
cristiani servivano a rendere più difficile la tolleranza e a confermare
il pregiudizio: dovendo subire il divieto di possedere la terra, e
trovandosi ad essere gli unici cui era consentito il prestito ad
interesse, vietato ai cristiani, i giudei diventano gli usurai e
affamatori del popolo che anche la grande letteratura ci ha tramandato,
dallo Schylok di Shakespeare, al Fagin di Dickens fino alla vecchia
uccisa da Raskolnikov in Dostoevskij. Chi di noi non ha sentito, almeno
una volta, usare la parola ebreo come sinonimo di tirchio, attaccato al
denaro? E non sono ebrei i banchieri più potenti?
Con la Reconquista
cristiana della penisola iberica, concomitante con la scoperta
dell’America, la Spagna inizia al proprio interno una pulizia etnica su
base religiosa con l’espulsione dei musulmani e di duecentomila ebrei,
costretti a rinunciare ai propri averi. Finisce per sempre l’età d’oro
della convivenza, che la Spagna musulmana aveva sostanzialmente
assicurato per qualche secolo anche agli “altri”.
L’inizio dell’età
moderna è segnato dall’instaurarsi di nuovi “razzismi”. Sugli abitanti
del Nuovo mondo si pratica da parte dei Conquistadores il più grande
genocidio della storia, quello dei popoli Amerindi, sterminati dalla
superiorità militare degli invasori, dalle malattie da essi diffuse e
dalla fatica dei lavori forzati imposti agli sconfitti. La testimonianza
del domenicano Bartolomè de Las Casas inchioda alle loro responsabilità
“li Christiani” come autori di “immense stragi” e di infami soprusi nei
confronti di gente “senza malizia nè doppiezza”, i cui comportamenti e
le cui qualità umane appaiono ai suoi occhi come degne di ammirazione e
rispetto. Qualcuno poi pensò di spiegare e giustificare il terribile
destino degli Indios, identificandoli con i discendenti delle dieci
tribù maledette di Israele, che, secondo la Bibbia, si erano disperse
per tutta la terra. Ebrei anche quelli!
Quando la popolazione
amerinda fu praticamente sterminata,l’Atlantico cominciò ad essere
solcato non più da caravelle di esploratori e conquistatori, ma da navi
cariche di africani catturati dai loro nemici o da furbi intermediari e
venduti ai proprietari delle piantagioni americane: i quali, essendo
buoni cristiani, dovettero cercare nei libri sacri una giustificazione
razzistico-religiosa: secondo la Bibbia, i diversi popoli della terra
discendono dai tre figli di Noè, Sem, Cam e Japhet; gli africani sono i
discendenti di Cam, il figlio maledetto da Dio per aver deriso il padre
nella sua ubriachezza: la pelle nera e la destinazione alla schiavitù
erano il risultato e il segno della maledizione divina. Ecco fatto:
l’inferiorità dell’altro non poteva avere migliore legittimazione!
Questo genere di razzismo non impediva però la promiscuità sessuale :
sia le donne dei “selvaggi” amerindi che quelle dei niggers, dei “musi
neri”, non erano disdegnate dai coloni europei, tanto che il continente
si popolò ben presto anche di meticci, il cui diverso grado di
accettazione sociale dipendeva dal maggiore o minor grado di
composizione “bianca” del loro patrimonio biologico ereditario.Con le
pseudoscienze, nate tra la fine del diciottesimo e gli inizi del
diciannovesimo secolo, fisiognomica e frenologia in primis, si
cominciano a stabilire connessioni tra l’aspetto fisico o la struttura
del cranio e le caratteristiche intellettuali, psicologiche e morali
degli individui. Risultato di questo incredibile miscuglio ideologico:
la classificazione delle presunte razze in una scala di minore o
maggiore perfezione umana, nella quale i criteri estetici (colorito,
alta o bassa statura, cranio allungato o schiacciato, naso camuso o
“greco”, capelli crespi o meno) derivanti dall’apprezzamento di sè e dal
disprezzo dei diversi da sè diventavano misure “scientifiche” della
superiorità della propria “razza”. Così l’anatomista tedesco Blumenbach
sosteneva che la razza caucasica fosse quella di Adamo ed Eva e le altre
non fossero che una degenerazione di questa a causa del clima e dello
stile di vita, e dichiarava apertamente: “Ho assegnato il primo posto al
caucasico perchè questo gruppo rappresenta la razza più bella!".
In
fondo alla gerarchia della bellezza fisica, alla quale veniva associata
la nobiltà d’animo e la superiorità morale, venivano sempre “i neri
della foresta”, definiti come più vicini alle scimmie che agli uomini da
antropologi e presunti filosofi come Tyson, Camper o Meiners! Saprà
quell’onorevole leghista che paragonò un ministro della repubblica ad
una scimmia di avere così illustri predecessori?
Con la linguistica e
con la sua classificazione delle “famiglie” delle lingue in indoeuropee
e semitiche, inizia a circolare il termine “ariano” contrapposto a
“semitico”. Il darwinismo e gli studi sull’ereditarietà vengono
fraintesi e piegati alle logiche della superiorità/inferiorità razziale e
a quella della purezza/degenerazione!
Si cominciò a dire che
bisognava preservare la razza ariana dalla contaminazione e dalla
degenerazione. Le razze “inferiori” e le categorie che venivano
considerate degenerate vennero definite sottouomini, il che avrebbe reso
più facile la loro eliminazione non in una lotta aperta, ma coi mezzi
atroci che vennero approntati dalla “razza superiore”. L’accanimento
sadico, la stessa idea di “soluzione finale” appaiono come l’esito di un
odio covato troppo a lungo contro nemici che incarnavano un male quasi
metafisico. La progressione delle accuse raggiunse il vertice con la
teoria del complotto giudaico per dominare il mondo: il famigerato
documento dei Protocolli dei Savi di Sion, un falso compilato
nell’Ottocento dalla polizia zarista, fu rispolverato e aggiornato dal
fascismo come complotto demo-pluto-giudaico-massonico. I razzisti hanno
la curiosa prerogativa di alimentare l’odio con la percezione di sè come
vittime di coloro che considerano inferiori a sé!
E così i
complottisti dei nostri giorni hanno l’impudenza di rispolverare il
fantasma dei Protocolli, per scagliarlo contro l’europeismo, il
globalismo, il potere finanziario, e perfino le cosiddette “ondate”
migratorie, tutto ciò, insomma, da cui ritengono derivi ogni male della
nostra società: la loro bestia nera, il nemico che manovra a nostro
danno non solo immensi capitali, ma anche enormi masse di pericolosi
diseredati, è, guarda caso, un finanziere ebreo, l’ungherese Soros! I
miti più irrazionali hanno nutrito il razzismo e lo hanno cristallizzato
in sterotipi negativi quasi indistruttibili: conoscerne e ricordarne
l’origine forse può servire a percepire meglio i segnali d’allarme che
il nostro confuso presente ci manda.
Poichè gli zingari spesso
vivono nelle periferie e presso le discariche, il carattere della
sporcizia è quello che accompagna e quasi definisce l’inafferrabile
categoria dei nomadi, la cui complessità etnica e culturale è sentita
come troppo sfuggente per essere degna di distinzioni. Più facile
trattarli tutti in blocco come “popolo immondo”, portatore di degrado e
restio ad ogni integrazione. Tanto pericolosi che, come dimostrano
ricerche condotte in Inghilterra e in Francia, ma anche in Italia, su
centinaia di testi scolastici, si ritiene necessario mettere in guardia i
ragazzi contro quelli che un “onorevole” parlamentare ha definito
durante un dibattito televisivo come “feccia dell’umanità”.
Pericolosi questi zingari anche per il loro fascino oscuro e rovinoso,
esaltato dalla letteratura, e perfino dal melodramma: chi non conosce
Esmeralda e Carmen, le zingare ammaliatrici di Hugo e Mallarmé, o la
“abietta zingara” Azucena, spia e rapitrice di bambini ne Il Trovatore
di Verdi? Solita ambivalenza: come si potrebbe odiare l’altro se la sua
inferiorità fosse priva di ogni potere? L’insulto razzista riferito alla
sporcizia, come le ordinanze di sgombero per motivi di igiene, nasce
dal fantasma del contagio, fisico e morale, che da sempre accompagna le
minoranze sgradite: “ci portano le malattie”. E non oso affrontare il
tema-immigrati! Voglio solo osservare che a sostegno dell’ostilità che
viene aizzata contro di loro oggi non si chiama più solo la religione,
ma la legalità: regolari/irregolari, aventi o non aventi diritto di
asilo, clandestini! E i testi scolastici si uniscono al coro per
tramandare purtroppo alle nuove generazioni la nuova parola dell’odio
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