domenica 1 aprile 2018

E X T R A .....F U O R I !
Nei miei ultimi anni d'insegnamento spesso sono stato costretto a correggere anche bravi studenti che,in qualche ricerca sul razzismo, lo definivano, ovviamente condannandolo, "una esasperazione e un esito violento della xenofobia". Un’idea forse abbastanza diffusa, che sembra però corrispondere al luogo comune secondo cui, essendo naturale la paura e la diffidenza verso gli stranieri, quando una società è costretta a ospitarne troppi, rischia inevitabilmente l’innescarsi di una reazione difensiva di tipo violento, definibile come razzismo. In quelle occasioni prima ricordavo ai miei allievi che spesso le più decise reazioni xenofobe vengono dai Paesi che hanno una bassissima percentuale di stranieri tra la popolazione, poi facevo ricorso a una definizione più corretta dei termini. Il razzismo è un' attitudine al disprezzo e all’odio per le minoranze, che precede e sfrutta la xenofobia; un contrapporsi agli altri per definire la propria identità come superiore, offrendo una via d’uscita illusoria a rabbie e frustrazioni individuali e sociali. Importanti sono:Il libro di George Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto (Laterza, 1980) e quello di Riccardo Calimani, Ebrei e pregiudizio. Introduzione alla dinamica dell’odio (Mondadori, 2000).
E' paradossale! Tanto più le religioni e le filosofie affermano l’uguaglianza fra gli uomini e i loro diritti universali, tanto più grande diventa la necessità di trovare motivazioni sempre più estreme alla oppressione dell’altro, politicamente o economicamente motivata!
Cosa intendevano i Greci con la parola xénos? Nella meravigliosa polisemia della lingua greca antica, questa parola non indica solo lo straniero, ma anche l’ospite e il nemico. Insomma, xénos è lo straniero che viene tra noi, verso il quale i Greci ritenevano di avere un dovere di ospitalità, imposto non solo da un costume o da un interesse, ma dalla stessa religione: l’ospite è sacro, protetto dagli Dei. O meglio, e qui sta il legame col significato negativo, sacro è il vincolo tra chi ospita e chi viene ospitato: tradirlo significa trasformare l’ospite in nemico. Non a caso, la guerra più famosa della mitologia greca, quella che ha ispirato la prima grande opera della letteratura occidentale, è scatenata dal tradimento di questo vincolo tra il re di Sparta Menelao e il principe troiano Paride, che, ospite presso di lui, gli porta via la moglie. Quel che ci fa paura dello straniero, che ce lo può rendere nemico, è che possa tradirci e offenderci, portandoci via qualcosa a cui teniamo. Non ci fidiamo, insomma, o ci fidiamo tanto poco da voler garantire il rapporto con lui con una sanzione religiosa, fallita la quale ricorriamo all’opzione violenta.
Non c’era però disprezzo nel rapporto con lo xénos: Paride era visto al massimo come un principe più interessato all’amore e alla bellezza che alla guerra, un po’ effeminato, magari... C’è invece un’ambiguità che persiste, nel giudizio sullo straniero ospite: quel che si teme da lui è, forse più di ogni altra cosa (e qui interpreto e attualizzo ulteriormente), il suo potere seduttivo nei confronti degli elementi più deboli della nostra compagine sociale, fino alla paventata “perdita della nostra identità” : “ci rubano le donne” o “ci convertiranno alle loro usanze”. E’ come se li sentissimo più attraenti di noi, salvo giudicarli nello stesso tempo inferiori a noi per questo o quell’altro aspetto.
Agli stranieri più diversi per lingua, religione e cultura, i Traci o i Macedoni, ma anche i Persiani, che pure non erano nè rozzi nè arretrati, i Greci riservavano un’altra definizione: quella di Barbari.
Lo scontro con i Persiani fu certamente sentito come uno scontro di civiltà, nella quale era in gioco però soprattutto il confronto tra istituzioni politiche: i Greci sentivano le proprie come le sole degne di uomini liberi e rifiutavano con sdegno l’idea di prostrarsi dinnanzi a un re come facevano i Persiani.In seguito la grande civiltà ellenistica fu capace di integrare i “barbari” in un nuovo, fecondissimo, melting pot: il greco-macedone Alessandro Magno sposò una principessa persiana e adottò usanze fino ad allora disprezzate dai Greci, la scienza degli Egizi e dei Babilonesi incontrò la filosofia greca, e questo incontro portò il sapere antico alle sue massime vette.
Noi oggi usiamo termini etnici, come ostrogoto o arabo, per indicare un linguaggio incomprensibile. Insomma, anche per noi, straniero e nemico è colui che non capiamo, che parla una lingua per noi sconosciuta. Non ci passa neanche per la mente che anche la nostra è incomprensibile per l’altro!
Extra, fuori, è la radice comune delle parole “straniero”, “estraneo” e “strano”. Lo straniero è strano perchè ci è estraneo! Certo, la stranezza può ingenerare anche curiosità, e magari anche meraviglia, ammirazione, e perfino venerazione (vedi il caso dei poveri Aztechi dinnanzi agli Spagnoli..). Ma comunque dovremmo ricordare che senza la curiosità per quelli che stanno fuori dai nostri confini, o da fuori provengono, la storia umana non avrebbe fatto neanche un passo.I Romani erano sempre pronti a trasformare in hostes(nemici) i popoli confinanti, ma facevano anche abbastanza presto a trasformarli, dopo averli vinti e sottomessi, in alleati e in cittadini: la progressiva romanizzazione delle province fu talmente spinta che non solo due grandi imperatori del primo secolo, Traiano e Adriano, venivano dalla Spagna, ma, tra la fine del primo e per tutto il secondo secolo, diversi imperatori provennero dalle province africane o orientali, e il millenario della fondazione di Roma fu celebrato dell’imperatore Filippo l, detto l’Arabo perchè .. era proprio arabo, nato da uno sceicco nella provincia dell’ Arabia Petrea. Il suo volto fu eternato in un busto molto realistico ed espressivo che mostra i tratti marcati coi quali si intendeva sottolinearne non solo la personalità ma anche l’origine orientale .Dai barbari del mondo antico allo schiavismo africano
Todorov parlando del presente,dice: “la paura dei barbari rende il nostro avversario più forte”, ma soprattutto “rischia di trasformare noi in barbari”! Roma seppe costruire una civiltà duratura, anche lasciandosi a sua volta conquistare dalla civiltà dei vinti, riconoscendone il fascino (Graecia capta ferum vincitorem cepit: dove a definirsi ferus, ovvero rozzo, selvaggio, era lo stesso romano vincitore!..).
Nel mondo antico, l’eventuale attribuzione di inferiorità ai popoli stranieri, la necessità di marchiarli con stereotipi negativi, appare come un fatto contingente, che ha valore finchè rimangono “esterni”. Oggi, nel “villaggio globale” in cui viviamo, a sembrarci “straniero” dovrebbe essere ormai solo un marziano o un venusiano.. Ma sappiamo bene che non è così. Non lo è neanche dopo duemila anni dall’avvento del Cristianesimo, nel quale, proclama Paolo di Tarso, “non c’é più né giudeo né gentile, non c’é più schiavo né libero, non c’é più uomo né donna”. Eh, magari!
L’indubbio universalismo del messaggio cristiano rappresenta un immenso progresso nelle relazioni umane e sociali, davvero una “buona novella” per i diseredati e gli esclusi. Ma trattandosi di una uguaglianza basata sull’adesione ad un credo religioso, ben presto si trasforma in un nuovo, potente motore di esclusione e rifiuto della diversità, soprattutto quando il potere politico ne fa uno strumento di coesione interna. L’odio verso gli infedeli, l’impegno a combatterli e distruggerli, che vengono presentati oggi da certa destra come prerogativa esclusiva del mondo islamico, hanno segnato per molti secoli anche la storia del Cristianesimo: che questo sia avvenuto in contraddizione col messaggio evangelico è certamente vero, ma, pervicacemente, questa verità viene agitata come motivo di disprezzo verso il mondo islamico e verso il Corano, accusato di essere, necessariamente e ineliminabilmente, portatore di violenza e arretratezza.
Fin dal IX secolo, nelle preghiere della Messa del Venerdì Santo, la parola Giudei non avrebbe avuto necessariamente un'accezione o un’intenzione offensiva nei confronti degli Ebrei, in quanto li designava come seguaci del giudaismo e non credenti nella fede cristiana.Ma il termine "Giudei" suonava,in realtà, alle orecchie dei fedeli come un richiamo alla perfidia del traditore di Gesù: quanti sapevano, o sanno, che il Giuda che dà il nome alla terra e alla religione degli Ebrei non è il Giuda Iscariota dei Vangeli, ma l’innocente figlio di Giacobbe, capostipite di una delle tribù di Israele?
Sempre la separatezza imposta con la ghettizzazione alimenta i sospetti: quella degli Ebrei in Europa non veniva attribuita all’ostilità cristiana, ma al loro ostinato rifiuto dell’assimilazione. Le limitazioni imposte alle comunità ebraiche residenti nei paesi cristiani servivano a rendere più difficile la tolleranza e a confermare il pregiudizio: dovendo subire il divieto di possedere la terra, e trovandosi ad essere gli unici cui era consentito il prestito ad interesse, vietato ai cristiani, i giudei diventano gli usurai e affamatori del popolo che anche la grande letteratura ci ha tramandato, dallo Schylok di Shakespeare, al Fagin di Dickens fino alla vecchia uccisa da Raskolnikov in Dostoevskij. Chi di noi non ha sentito, almeno una volta, usare la parola ebreo come sinonimo di tirchio, attaccato al denaro? E non sono ebrei i banchieri più potenti?
Con la Reconquista cristiana della penisola iberica, concomitante con la scoperta dell’America, la Spagna inizia al proprio interno una pulizia etnica su base religiosa con l’espulsione dei musulmani e di duecentomila ebrei, costretti a rinunciare ai propri averi. Finisce per sempre l’età d’oro della convivenza, che la Spagna musulmana aveva sostanzialmente assicurato per qualche secolo anche agli “altri”.
L’inizio dell’età moderna è segnato dall’instaurarsi di nuovi “razzismi”. Sugli abitanti del Nuovo mondo si pratica da parte dei Conquistadores il più grande genocidio della storia, quello dei popoli Amerindi, sterminati dalla superiorità militare degli invasori, dalle malattie da essi diffuse e dalla fatica dei lavori forzati imposti agli sconfitti. La testimonianza del domenicano Bartolomè de Las Casas inchioda alle loro responsabilità “li Christiani” come autori di “immense stragi” e di infami soprusi nei confronti di gente “senza malizia nè doppiezza”, i cui comportamenti e le cui qualità umane appaiono ai suoi occhi come degne di ammirazione e rispetto. Qualcuno poi pensò di spiegare e giustificare il terribile destino degli Indios, identificandoli con i discendenti delle dieci tribù maledette di Israele, che, secondo la Bibbia, si erano disperse per tutta la terra. Ebrei anche quelli!
Quando la popolazione amerinda fu praticamente sterminata,l’Atlantico cominciò ad essere solcato non più da caravelle di esploratori e conquistatori, ma da navi cariche di africani catturati dai loro nemici o da furbi intermediari e venduti ai proprietari delle piantagioni americane: i quali, essendo buoni cristiani, dovettero cercare nei libri sacri una giustificazione razzistico-religiosa: secondo la Bibbia, i diversi popoli della terra discendono dai tre figli di Noè, Sem, Cam e Japhet; gli africani sono i discendenti di Cam, il figlio maledetto da Dio per aver deriso il padre nella sua ubriachezza: la pelle nera e la destinazione alla schiavitù erano il risultato e il segno della maledizione divina. Ecco fatto: l’inferiorità dell’altro non poteva avere migliore legittimazione!
Questo genere di razzismo non impediva però la promiscuità sessuale : sia le donne dei “selvaggi” amerindi che quelle dei niggers, dei “musi neri”, non erano disdegnate dai coloni europei, tanto che il continente si popolò ben presto anche di meticci, il cui diverso grado di accettazione sociale dipendeva dal maggiore o minor grado di composizione “bianca” del loro patrimonio biologico ereditario.Con le pseudoscienze, nate tra la fine del diciottesimo e gli inizi del diciannovesimo secolo, fisiognomica e frenologia in primis, si cominciano a stabilire connessioni tra l’aspetto fisico o la struttura del cranio e le caratteristiche intellettuali, psicologiche e morali degli individui. Risultato di questo incredibile miscuglio ideologico: la classificazione delle presunte razze in una scala di minore o maggiore perfezione umana, nella quale i criteri estetici (colorito, alta o bassa statura, cranio allungato o schiacciato, naso camuso o “greco”, capelli crespi o meno) derivanti dall’apprezzamento di sè e dal disprezzo dei diversi da sè diventavano misure “scientifiche” della superiorità della propria “razza”. Così l’anatomista tedesco Blumenbach sosteneva che la razza caucasica fosse quella di Adamo ed Eva e le altre non fossero che una degenerazione di questa a causa del clima e dello stile di vita, e dichiarava apertamente: “Ho assegnato il primo posto al caucasico perchè questo gruppo rappresenta la razza più bella!".
In fondo alla gerarchia della bellezza fisica, alla quale veniva associata la nobiltà d’animo e la superiorità morale, venivano sempre “i neri della foresta”, definiti come più vicini alle scimmie che agli uomini da antropologi e presunti filosofi come Tyson, Camper o Meiners! Saprà quell’onorevole leghista che paragonò un ministro della repubblica ad una scimmia di avere così illustri predecessori?
Con la linguistica e con la sua classificazione delle “famiglie” delle lingue in indoeuropee e semitiche, inizia a circolare il termine “ariano” contrapposto a “semitico”. Il darwinismo e gli studi sull’ereditarietà vengono fraintesi e piegati alle logiche della superiorità/inferiorità razziale e a quella della purezza/degenerazione!
Si cominciò a dire che bisognava preservare la razza ariana dalla contaminazione e dalla degenerazione. Le razze “inferiori” e le categorie che venivano considerate degenerate vennero definite sottouomini, il che avrebbe reso più facile la loro eliminazione non in una lotta aperta, ma coi mezzi atroci che vennero approntati dalla “razza superiore”. L’accanimento sadico, la stessa idea di “soluzione finale” appaiono come l’esito di un odio covato troppo a lungo contro nemici che incarnavano un male quasi metafisico. La progressione delle accuse raggiunse il vertice con la teoria del complotto giudaico per dominare il mondo: il famigerato documento dei Protocolli dei Savi di Sion, un falso compilato nell’Ottocento dalla polizia zarista, fu rispolverato e aggiornato dal fascismo come complotto demo-pluto-giudaico-massonico. I razzisti hanno la curiosa prerogativa di alimentare l’odio con la percezione di sè come vittime di coloro che considerano inferiori a sé!
E così i complottisti dei nostri giorni hanno l’impudenza di rispolverare il fantasma dei Protocolli, per scagliarlo contro l’europeismo, il globalismo, il potere finanziario, e perfino le cosiddette “ondate” migratorie, tutto ciò, insomma, da cui ritengono derivi ogni male della nostra società: la loro bestia nera, il nemico che manovra a nostro danno non solo immensi capitali, ma anche enormi masse di pericolosi diseredati, è, guarda caso, un finanziere ebreo, l’ungherese Soros! I miti più irrazionali hanno nutrito il razzismo e lo hanno cristallizzato in sterotipi negativi quasi indistruttibili: conoscerne e ricordarne l’origine forse può servire a percepire meglio i segnali d’allarme che il nostro confuso presente ci manda.
Poichè gli zingari spesso vivono nelle periferie e presso le discariche, il carattere della sporcizia è quello che accompagna e quasi definisce l’inafferrabile categoria dei nomadi, la cui complessità etnica e culturale è sentita come troppo sfuggente per essere degna di distinzioni. Più facile trattarli tutti in blocco come “popolo immondo”, portatore di degrado e restio ad ogni integrazione. Tanto pericolosi che, come dimostrano ricerche condotte in Inghilterra e in Francia, ma anche in Italia, su centinaia di testi scolastici, si ritiene necessario mettere in guardia i ragazzi contro quelli che un “onorevole” parlamentare ha definito durante un dibattito televisivo come “feccia dell’umanità”.
Pericolosi questi zingari anche per il loro fascino oscuro e rovinoso, esaltato dalla letteratura, e perfino dal melodramma: chi non conosce Esmeralda e Carmen, le zingare ammaliatrici di Hugo e Mallarmé, o la “abietta zingara” Azucena, spia e rapitrice di bambini ne Il Trovatore di Verdi? Solita ambivalenza: come si potrebbe odiare l’altro se la sua inferiorità fosse priva di ogni potere? L’insulto razzista riferito alla sporcizia, come le ordinanze di sgombero per motivi di igiene, nasce dal fantasma del contagio, fisico e morale, che da sempre accompagna le minoranze sgradite: “ci portano le malattie”. E non oso affrontare il tema-immigrati! Voglio solo osservare che a sostegno dell’ostilità che viene aizzata contro di loro oggi non si chiama più solo la religione, ma la legalità: regolari/irregolari, aventi o non aventi diritto di asilo, clandestini! E i testi scolastici si uniscono al coro per tramandare purtroppo alle nuove generazioni la nuova parola dell’odio

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