domenica 11 gennaio 2015

Il pluralismo...apparente in una Società intesa come gruppo di appartenenza!

Un noto filosofo italiano ha scritto: "Pluralismo e multiculturalismo sono concetti antitetici…"1 Mi trovo perfettamente d’accordo con il Professor Sartori ma anche le nostre rispettive ragioni che sottendono a questo accordo sono antitetiche. Infatti secondo Sartori la fondamentale differenza intercorrente tra i due concetti consiste nel fatto che il pluralismo prende atto della differenza e la tollera riconoscendone, talvolta, il valore laddove il multiculturalismo ha come obiettivo il creare la differenza. Secondo me, invece, la differenza fondamentale è la seguente: il pluralismo ha come soggetti gli individui nella loro specificità di soggetti singoli, ciascuno con la propria etica e le proprie personali scelte di vita; il multiculturalismo ha come soggetti le cultura considerate come blocchi compatti ed omogenei, internamente indifferenziate. Il concetto stesso di Multiculturalismo incorre in un pregiudizio assai pericoloso: il "pregiudizio di omogeneità" 2: considerare le cultura anziché gli individui significa appiattire questi ultimi e non vederli nella loro concretezza e specificità. Le culture n non sono blocchi compatti ed omogenei privi di controversie e differenze al loro interno; all’interno di una medesima tradizione culturale i singoli esseri umani possono divergere non poco per scelte di vita che comportano, quindi, una minore o maggiore accettazione della cultura stessa e una minore o maggiore aderenza alle sue regole e ai principii che ne stanno alla base. Infatti all’interno di una tradizione culturale sicuramente non tutti faranno le stesse scelte di vita e alcune saranno più in sintonia di altre con i precetti tramandati e che si presume vengano condivisi. Non tutti occupano la stessa posizione e godono degli stessi diritti, ad esempio e questo comporta sicuramente un diverso approccio ed una diversa interpretazione della cultura stessa da parte degli stessi membri che vi appartengono (in modo più o meno volontario e consapevole). Secondo il professor Sartori pluralismo e tolleranza sono strettamente connessi; multiculturalismo e tolleranza, invece, si scontrano. Quanto una società può essere tollerante ed aperta senza snaturarsi? Questo il quesito di Sartori. Il mio, invece, è questo: la società ha forse una natura, ovvero un’essenza immutabile, statica e non suscettibile di cambiamento ed evoluzione? Se così fosse non ci spiegheremmo come mai non siamo più nella società dei tempi della pietra, come mai oggi utilizziamo un linguaggio diverso e strumenti diversi nella nostra quotidianità rispetto alla società vigente a quei tempi. Prima di tutto sono del parere che la società in sé non abbia una natura a prescindere dagli individui che la compongono: la società non esisterebbe senza i singoli componenti. Ogni componente ha in comune con tutti gli altri il fatto di appartenere alla razza umana ma ha anche moltissime peculiarità che lo distinguono da tutti gli altri. Dunque la natura non ha una natura omogenea, ma composita. In secondo luogo gli esseri umani sono continuamente soggetti al cambiamento, alla crescita, all’evoluzione e anche all’involuzione; ma, se la società è composta dai singoli esseri umani e se questi ultimi sono soggetti al cambiamento, perché non dovrebbe allora essere soggetta al cambiamento la società? Correrà forse il rischio di perdere la sua natura? Ma come potrebbe perderla se la sua stessa natura è data da quelli stessi individui che mutano continuamente? Insomma, mi sembra piuttosto chiaro che la tesi di Sartori, se interpretata in un’ottica liberale e pluralista (ottica che lui stesso afferma di adottare) non regge! Perché si teme che la società possa perdere la sua natura? Cosa s’intende con il termine "natura"? Cosa s’intende con il termine "società"? 1) "Natura" viene intesa come "essenza": ciò che rende quella determinata società così come è, uguale a se stessa e diversa da tutte le altre. La natura viene connotata dalle tradizioni, la religione, gli usi e costumi. 2) "Società" viene, a mio avviso, intesa come equivalente di "comunità": non più un’associazione libera e volontaria tra diversi individui, ma una sorta di gruppo di appartenenza che definisce la natura stessa, gli usi, i costumi e i comportamenti di quanti ne fanno parte. 1) Una natura così intesa è costringente per gli individui: viene prima l’essenza e solo dopo vengono gli individui; gli esseri umani diventano, in questa visione, meri accidenti dell’essenza su cui non hanno il minimo diritto o potere di intervenire. 2) Una concezione della società di questo tipo risulta essere altrettanto costringente in quanto figlia di una natura essenzialista e non soggetta a trasformazioni: gli individui non vengono visti nelle loro differenze e, quindi, non viene accolto il pluralismo reale ma solo un pluralismo apparente: le scelte di vita devono pur sempre rientrare nello spettro di possibilità accettato e consentito dalla società, la quale accoglie però solo ciò che è conforme alla sua natura essenzialista ed immutabile. Questa concezione della società precipita in una sorta di pluralismo guidato a priori, un pluralismo che deve essere anch’esso conforme all’essenza prestabilita, un pluralismo apparente insomma!

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