giovedì 8 gennaio 2015

La grande sfida

Per scacciare i fantasmi, liberarci dagli stereotipi, rifuggire da ogni inimicizia verso l’altro, lo sconosciuto misconosciuto, dobbiamo forse imparare che i musulmani non vanno ridotti alla loro sola dimensione religiosa, che sono un miliardo di persone nei due emisferi, non tutti credenti e praticanti, più orientali (oltre ai turchi: pakistani, afgani, indonesiani, filippini…) che non arabi. C’è un islam, ma i musulmani sono molti e diversi nel loro modo di esprimere la fede e nella varietà etnica e geografica: musulmani ultramoderni esistono accanto a credenti più tradizionalisti e ad altri indifferenti alla religione, accanto anche a fondamentalisti e a frange di fanatici terroristi, che prolificano soprattutto nell’humus dell’oppressione, nel misconoscimento della loro dignità e dei loro diritti. Questi ultimi, per uscire da una situazione vista come un’eterna prigione senza sbocco, sono pronti ad atti di terrorismo che noi giustamente condanniamo con forza, ma di cui non possiamo non ricercare l’origine e la dinamica. Questo è l’enorme spazio, la grande sfida che si apre davanti al dialogo: evitare di leggere le differenze, anche profonde, come scontro tra il bene e il male, rifuggire l’identificazione tra un islam astratto e l’incarnazione del male, rifiutarsi di demonizzare l’altro. Sono convinto che la stragrande maggioranza dei musulmani, credenti o no, sia profondamente a disagio di fronte agli appelli alla barbarie e agli atti di barbarie del fondamentalismo e sia disposta ad assumersi, nella propria realtà concreta, la responsabilità di testimoniare il rifiuto dell’islam a qualsiasi solidarietà con la barbarie. In questa faticosa lotta sappiano di avere al loro fianco i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà.

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