domenica 13 settembre 2015

Il razzismo ? Una cosa molto seria!

Il razzismo Il razzismo è una cosa molto seria. È una ideologia, cioè una visione del mondo basata su concetti più o meno astratti e più o meno sofisticati, che “spiega” il perché di alcuni fenomeni sociali, ne individua le ragioni, fornisce soluzioni. Fa, il razzismo, quello che fa qualunque altra ideologia o religione (pur’essa una ideologia): interpreta il mondo. Il razzismo non è una ideologia che trova sostenitori solo tra le fasce di popolazione più ignoranti e culturalmente chiuse. Per niente. Storicamente è sempre stato una ideologia trasversale che si è radicato nel sottoproletariato come tra la colta borghesia. La sua idea base è che le popolazioni umane non siano tutte uguali ma che esista, al contrario, un ordine gerarchico dove le popolazioni umane si posizionano in base a criteri variabili ma che, nella sostanza, tendono sempre a stabilire una graduatoria, dall’alto verso il basso. Non esiste un solo criterio per definire la scala gerarchica, naturalmente. Di volta in volta, a seconda di dove l’ideologia razzista viene insegnata e praticata, può essere il colore della pelle, la religione, gli usi e costumi che alcuni gruppi etnici praticano, tutto questo e molto altro ancora variamente miscelato. Il razzismo è discendente e ascendente. Cioè guarda verso l’alto e verso il basso. L’atteggiamento del razzista non è quello della repulsione verso la popolazione considerata inferiore o superiore. È, nel caso di razzismo verso gli “inferiori” quello della dominazione. Nel caso di razzismo verso i “superiori” la complicità, il desiderio di essere accettato. Salvo il caso, naturalmente, in cui il razzista si consideri facente parte della popolazione in cima alla scala. Dunque per essere davvero razzisti occorre possedere un certo numero di informazioni, vere o false che siano, una discreta capacità di elaborazione intellettuale e la convinzione che le informazioni possedute e la logica che le tiene assieme siano vere, verificate e, in linea di principio, sempre verificabili. Il razzismo è pertanto un fenomeno politico e della specie più strutturata: è ideologia. Cosa ben diversa è la paura sociale. Cioè il sentimento di timore che una parte consistente di individui manifestano nei confronti di fenomeni sconosciuti o poco conosciuti ma considerati, complessivamente, a torto o a ragione, una minaccia alla propria sicurezza o alla propria tranquillità sociale e individuale. La paura sociale si manifesta sempre attraverso la repulsione. Si respinge cioè il fenomeno col quale si viene in contatto o si scappa da questo per il timore che possa essere nocivo, al limite mortale. I fenomeni che generano paura sociale sono quasi sempre fenomeni di grande cambiamento: politico (l’ascesa di partiti considerati pericolosi, di destra o sinistra che siano), economico (le crisi che determinano disoccupazione, malessere sociale), culturale (la richiesta di liberalizzazione delle droghe, lo sviluppo di tecnologie che stravolgono le abitudini consolidate) e demografico (l’immigrazione). La paura sociale non è una ideologia. Non ha una visione del mondo organica e strutturata. E’ semplicemente un sentimento. Certo, allo stesso modo delle ideologie attecchisce trasversalmente. Si impossessa del sottoproletario analfabeta, come del borghese colto, come dell’intellettuale esterofilo ma, a differenza dell’ideologia, la paura è, come tutti i sentimenti, variamente esposta alle contingenze individuali e sociali che vengono percepite o fatte percepire. E’ mutevole, è instabile, è camaleontica e, il più delle volte, non sfocia in azioni politiche (cioè pianificate e coordinate) ma in episodi spontanei considerati di difesa in un certo momento e in un certo luogo: la fuga, l’atto violento, la sottomissione. La paura usata per fare politica Masse di popolazione che sono pervase da sentimenti sociali forti negativi (paura, odio) sono, come noto, più facilmente esposti alle manipolazioni politiche di qualcuno che freddamente pianifica azioni collettive mirate a raggiungere scopi specifici. L’indifferenza, l’apatia, non generano interesse verso qualcosa. La paura, l’odio, il risentimento sociale, sì. E se qualcuno offre risposte a questi sentimenti è facile che le risposte vengano prese sul serio. Senza rifletterci molto se vengono percepite come rassicuranti e risolutive del problema che genera il sentimento. E’ in queste fasi, in cui le società sono attraversate da grandi sentimenti sociali forti (specie la paura e l’odio), che alcuni individui, politicamente esposti, vengono considerati o il capro espiatorio o, all’opposto, i salvatori della patria. Con tutto quello che situazioni del genere comportano. Cosa sta succedendo in Italia e in Europa ? Stiamo assistendo, ormai da almeno tre decenni, a grandi cambiamenti politici, economici e demografici in Europa e in Italia. Tutti e tre questi fenomeni tengono banco alternandosi – a seconda dell’enfasi che i media di massa vi rivolgono – periodicamente e generando sentimenti diffusi di paura, frustrazione, scontento. Per quanto riguarda uno di questi tre fenomeni, l’immigrazione, io non sono molto propenso a credere che, in generale, gli italiani stiano scoprendosi razzisti nel senso ideologico che ho evidenziato prima. Sono molto più disposto a credere che questa generica ondata di accuse, minacce, tentativi di linciaggi, stomachevoli affermazioni rese sui social network siano più che altro dovute alla repulsione verso un fenomeno percepito come minaccioso. Siano, cioè, paura sociale. Paura della diversità, paura del perdere il proprio lavoro, paura per la sicurezza personale, paura per una situazione che viene giudicata incontrollabile e incontrollata. Non importa quanto reali siano queste paure. Importa quanto seriamente vengano percepite. E’ una cosa totalmente diversa dal razzismo, sebbene possa essere usata per fare razzismo e potrebbe sfociare nel razzismo (e vi sfocia anche in taluni casi, vedi l’uso schiavistico che viene fatto di molti immigrati di colore, e non solo, nelle piantagioni agricole di molte parti d’Italia). E’ razzismo, vera ideologia, invece quella che in alcuni casi si manifesta in alcuni Paesi d’Europa. Paesi storicamente colonialisti, quindi permeati (si studia a scuola, fin dai primi anni, in paesi come la Francia o la Gran Bretagna, il colonialismo come fenomeno di civilizzazione di popolazioni primitive e “selvagge”) da una ideologia fondata sulla superiorità culturale che diventa superiorità razziale (la pelle bianca contro quella scura). Oppure Paesi con tradizioni storiche dominanti (la Germania, alcuni paesi nati dallo smembramento dell’Impero asburgico). Non è propriamente razzismo neppure quello che esiste in alcuni Paesi europei la cui storia è segnata dalle dominazioni di paesi vicini (paesi baltici, Polonia). Questi paesi tendono a sviluppare politiche di autonomia rispetto ai paesi vicini che li hanno dominati per secoli – o per decenni – e vedono nell’immigrazione di massa (vera, presunta o potenziale) un indebolimento dell’identità nazionale e dell’autonomia politica e quindi una possibile maggiore esposizione agli appetiti di paesi vicini considerati paesi ostili (Russia, Germania). Come distinguere un razzista da uno che ha paura Non è una operazione particolarmente complicata. I due profili idealtipici hanno parti che si sovrappongono, ma le due figure non coincidono mai. Un razzista ha una discreta conoscenza della storia del Paese in cui vive, tende a dare a questa storia una aurea di santità, di superiorità, di grandezza. Considera il suo paese un organismo vivente dotato di un’anima, di uno spirito che resiste nei secoli indistruttibile benché malmesso a volte. Parla di “popolo”, di “patria”, di “civiltà” messi in pericolo dallo “straniero” in genere selvaggio, primitivo, violento. E inferiore. Per destino. Senza possibilità di riscatto. Condannato ad essere inferiore per sempre e dominato per sempre. Un individuo pervaso dalla paura sociale non arriva a questi livelli di sofisticazione intellettuale. Non perché sia cretino. Semplicemente non gli interessano questi ragionamenti. E’ un signore che vive del suo quotidiano, che sia brillante o che sia miserabile. Ma che si sente minacciato. Minacciato di perdere, in favore non degli “stranieri” ma degli “estranei”, quello che ha. Poco o molto che sia. Se si avventura in discussioni storiche o sociologiche non ha argomentazioni da proporre che non siano slogan insensati, frasi fatte, luoghi comuni. Dimostra grande disinteresse per tutto quello che si oppone alle sue paure ed accetta solo soluzioni radicali che lo rassicurino. Che sono quelle tipiche che tendono a ridurre il peso della paura: repulsione, fuga, violenza, rassegnazione. (T.C.)

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