Il Vangelo della Trasfigurazione ci potrebbe aiutare, ovviamente
nella misura in cui siamo disposti ad ascoltare e a farci istruire dal
Signore, anche in materia di apparizioni. La trasfigurazione sul Tabor
non è richiesta da Pietro, Giacomo e Giovanni. E’ puro dono. Semplice e
chiaro, ma tanto difficile da vivere. E’ il Signore che si mostra, non
siamo noi a comandare di farlo. Certo, possiamo dire, con il salmista: Il
mio cuore ripete il tuo invito: Cercate il mio volto! Il tuo volto,
Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira
il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio
della mia salvezza (Sal 27). Possiamo e dobbiamo dire sempre fa' splendere il tuo volto, Signore, ma i tempi e i modi li decide solo e solamente Lui. Tutto è sua grazia, anche il poter vedere il Suo volto.
Forse Gesù ha voluto ascoltare la preghiera di
questi discepoli, forse aveva in mente altro. Ma più che i motivi per
cui Gesù abbia potuto farlo, ci interessa la dinamica della
trasfigurazione di Cristo. Essa avviene sul monte, lontani dagli altri
ma… vicini alla loro storia. Mosè ed Elia sono li a testimoniare di
quanto il Signore voglia confermare la storia, la fede, le attese che i
discepoli avevano: conoscere il Cristo. E Dio lo presenta loro così.
La manifestazione del Cristo avviene in un susseguirsi di stati emotivi contrastanti dei discepoli: sonno, risveglio, visione, gioia, stupore, paura, silenzio. E’
difficile quasi commentarli e seguirli uno a uno. Ma forse non serve
tanto. Serve, piuttosto, capire che quando Dio si rivela, in piccoli
come in grandi momenti, l’alternarsi di sentimenti contrastanti è
nell’ordine delle cose. Ma non è questo il centro del tutto. Il focus è
il fatto che Dio si faccia vedere, che ci dica qualcosa e così
trasfiguri, poco o tanto che sia, la nostra realtà.
Per comprendere tutto ciò non dobbiamo pensare che
questo riguardi apparizioni straordinarie e fuori del comune vivere
ordinario; dobbiamo invece pensare a tutte le piccole manifestazioni
quotidiane in cui Dio ci visita, ci da una mano a portare avanti il peso
della giornata con piccoli ma significativi segni della sua presenza.
Può essere un sorriso, un’attenzione, un aiuto, l’affetto che viene da
altri oppure un’idea, un sentimento, un’intuizione che nasce in noi.
Qual è il fine di questo modo di visitarci di Dio? Che noi amiamo e
ascoltiamo di più il Suo Figlio. Tutto, sempre e comunque, in maniera
ostinata e gelosa, deve tendere, ritornare e dar gloria al suo Figlio,
il Cristo. Se si comprende ciò, soprattutto se lo si ricorda
costantemente, si entra in quella dinamica di fede per cui non sono
importanti il numero o la grandezza delle “trasfigurazioni” in cui siamo
coinvolti, quanto il fatto che siamo più uniti al Cristo dopo averle
ricevute. Ossia dopo averlo, ancora una volta, incontrato.
Rocco D'Ambrosio
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